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La notte del demonio

Regia di Jacques Tourneur vedi scheda film

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La recensione su La notte del demonio

di fixer
8 stelle

 

Non è possibile parlare di questo film senza parlare di Jacques Tourneur. E non possibile parlare del regista senza riferirsi a Val Lewton.

Queste opinioni, che scrivo da un po’ di tempo, risentono della schiavitù dello spazio e devono, per forza di cose, rinunciare a inquadrare i film in esame in un più ampio ambito che aiuterebbe a capire meglio il perché di un film, il suo “making”, le ragioni estetiche, sociali, economiche che stanno alla base.

Non so se sia corretto “leggere” un film solo basandosi su quanto vediamo, fidandoci delle capacità di un critico a noi simpatico o, in un momento di estasi mitomaniaca, del nostro “intuito”(?) o “sensibilità”.

Quando ci troviamo di fronte a un quadro come LE DEMOISELLES D’AVIGNON, che senso avrebbe fidarci del nostro senso critico se non conoscessimo a fondo il perché di quel quadro, come è stato concepito, come è stato realizzato maniacalmente più e più volte. Lo stesso varrebbe allora anche per un “pezzo” di Pierre Boulez. 

 

Ma mi sto addentrando in una foresta intricatissima che mi porterebbe lontano, troppo lontano.

Dunque, Val Lewton, perché? Prima di parlare di lui, confesso di non avere letto il fondamentale saggio di Joel Siegel VAL LEWTON THE REALITY OF TERROR,(ormai introvabile, se non in qualche biblioteca) anche se qualcosa sono riuscito a carpirlo, per vie traverse, certo. Lewton è russo di nascita (Yalta, 1904) ed emigra giovanissimo negli USA e sua madre, Nina, va alla MGM come soggettista con un certo successo. Si deve quindi alla madre se Val entra nel cinema. In fatti, dopo essersi laureato in giornalismo alla Columbia University, inizia a scrivere articoli e racconti. Uno di questi, No Bed of her Own, viene comprato dalla Paramount e ne è tratto NO MAN OF HER OWN, diretto nel 1932 da Wesley Ruggles. Selznick, allora alla MGM, lo chiama perché gli piace come scrive, ma soprattutto perchè è russo ed egli vuole un russo per scrivere la sceneggiatura di Taras Bulba. Il film non si fa, ma a Selznick piace quest’uomo e lo assume come soggettista. Dopo 8 anni, furioso per averlo scoperto a russare durante un “giornaliero” di VIA COL VENTO, lo manda alla RKO alle dipendenze di Charles Koerner, capo di produzione. Questi è felice di avere Lewton, perché da tempo cercava un produttore cui affidare una serie di film del mistero e orrore a basso costo. Con l’aiuto di DeWitt Bodeen, sceneggiatore, Jacques Torneur, regista e Mark Robson, supervisore, inizia la lavorazione di IL BACIO DELLA PANTERA (1942), che viene terminata 4 settimane dopo, con un costo di 134.000 dollari. Il successo è strepitoso e incassa 4 milioni. Naturalmente, la serie continua con HO CAMMINATO CON UNO ZOMBIE e L’UOMO LEOPARDO.

 

L’idea alla base di Lewton (e di Tourneur) é quella di incutere paura senza mostrare l’oggetto che la provoca.

Lewton approfitta delle proprie fobie ed esperienze personali per inserirle nei suoi film, ma è d’accordo con Tourneur sul fatto che il terrore spesso ha radici profonde che hanno origine nell’inconscio e negli incubi personali, senza che vi sia un pericolo reale, materiale, che lo sostenga.

Nel caso di IL BACIO DELLA PANTERA, ci sono scene assolutamente inquietanti, giocate proprio su queste fobie (pare che Lewton avesse una vera e propria fobia per i gatti, mentre la scena del bagno notturno in piscina pare si dovesse a un’esperienza terribile di Tourneur che rischiò seriamente di annegare). La produzione, però, come troppo spesso accade, impone di mostrare la pantera nera che è un po’ l’ossessione della protagonista, convinta di avere nella propria natura anche quello della belva.

Questo va ricordato anche quando si parla di LA NOTTE DEL DEMONIO.

Siamo nel 1957. Val Lewton è morto ormai da sei anni, Tourneur non gira quasi più (lavora soprattutto per la tv). Diventa un regista free lance, se così si può dire. Lo sceneggiatore Charles Bennett è proprietario dei diritti cinematografici di un racconto di Montagne R.James, scrive un adattamento liberamente tratto e lo manda al produttore indipendente Hal Chester.

Tourneur viene chiamato da Chester per dirigerlo, su consiglio del produttore Ted Richmond che aveva lavorato con lui in L’ALIBI SOTTO LA NEVE, l’anno prima.

La trama riprende alcune produzioni in cui si mescolano culto di Satana e orrore puro. Il regista però ha la fortuna di servirsi di un’ottima sceneggiatura e una preziosa fotografia per evitare di scadere nella solita paccottiglia sgangherata tipica dei film di questo genere.

Ne esce un prodotto degnissimo che ancora oggi sorprende per la compostezza e la dignità intrinseche, valori spesso assenti nei film horror.

Viene adombrato il dubbio che la scienza possa spiegare tutto ciò che avviene, senza però scadere nel ridicolo. Questo pericolo non è però del tutto fugato, in quanto il produttore inglese Hal Chester voleva mostrare anche se per brevi istanti, una sorta di essere demoniaco con muso di caprone, ali di drago ed artigli terribili. Questa posizione fu aspramente contestata da Tourneur e anche (e soprattutto) da Charles Bennett. Pure Dana Andrews, il protagonista, era contrario alla rappresentazione del mostro (ad un certo punto minaccia di piantare tutto e tornare negli USA.

Apparentemente, Chester fa un passo indietro. Una volta terminato il film, però, senza chiedere nulla al regista e a Bennett, fa girare la visione del demonio, all’inizio e alla fine del film. Inoltre, “per accelerarlo”, ma solo per gli Stati Uniti, porta da 95 a 81 minuti la durata del film, tagliando arbitrariamente alcune scene. 

Questa “esposizione” del Male, in effetti, non giova alla qualità di questo prodotto, il quale punta tutte le sue carte sulla vecchia idea di Lewton e cioè che la paura, il terrore dovevano avere un valore essenzialmente psicologico.

 

Fin dall’inizio, il viaggio notturno in automobile del professor Harrington, in un’atmosfera spettrale, in cui i giochi di luce dei fari dell’auto illuminano i rami degli alberi che si protendono sulla strada, quasi fossero estensioni di un essere maligno deciso a ghermire la macchina, proietta lo spettatore nell’  inquietudine. Il racconto poi accompagna il percorso psicologico e quello professionale del dottor Holden, uno studioso invitato a dare conferenze in cui  combatte, con lo strumento della ragione e della scienza, i pretesi fenomeni paranormali. La sua sicurezza e le sue convinzioni subiscono però, man mano che il film procede, serie scosse.

 

Facendo finta che il demonio non si veda, (e di cui, come si è detto, il regista non ha colpa) il film si lascia apprezzare appunto per le atmosfere di inquietudine che trasmette e che hanno ispirato decine e decine di registi.

Pensiamo alla scena del bosco, ad esempio, in cui il protagonista si rende conto seriamente che c’è qualcosa che va oltre la pura spiegazione razionale. Sono i movimenti della macchina da presa, l’espressione di paura del volto, i suoni, come lo stormire e il frusciare dei rami che, in luogo di trasmettere serenità, insinuano il forte sospetto che un’entità malvagia sta per assalire Holden (com’era successo all’inizio con Carrington).

Un’altra scena indovinata è quella in cui a Hobart, un povero diavolo che, pur essendo scampato alla morte per essere riuscito a passare ad un’altra persona una pergamena che era il segno che condannava il suo possessore, sotto ipnosi viene fatto ricordare quello che aveva visto. L’espressione di terrore nel suo sguardo e il suicidio nel gettarsi da una finestra sono degni di nota.

 

L’edizione home video, prodotta dalla benemerita Sinister Film, si lascia apprezzare, oltre che per la visione di entrambe le versioni (quella europea e quella americana, il cui titolo è THE CURSE OF THE DEMON), per la presentazione a cura di Luigi Cozzi, che fu colui che ricomprò IL BACIO DELLA PANTERA per l’Italia dopo che la copia era andata al macero, riscrivendone i dialoghi e facendolo distribuire di nuovo nel nostro Paese. Ora, con Marco Chiani, sta per pubblicare un libro su Val Lewton).

 

 

 

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