Regia di Pierre Billon, Giorgio Capitani vedi scheda film
Francesca è bella e simpatica con tutti, è un'intrigante e per qualcuno una poco di buono. Andrea, quando la ragazza prende ad avere una relazione tormentata con suo cognato, decide di dissuaderla dal frequentarlo. Ma cade irretito dal fascino di Francesca e per lei si dimentica persino della moglie. La situazione degenera molto in fretta.
Per aprire con un eufemismo, Delirio non è propriamente un manifesto del femminismo; le donne in questo melodrammone disperatissimo sono in effetti biecamente sfruttate soltanto per ruoli di sottomissione e di intrigo ed è probabile che i toni risultassero già pesantini all'epoca, nel 1954 in cui il lavoro usciva in sala. Tutto pur di procurare un po' di batticuore agli spettatori, un po' di emozioni drastiche quanto facili e per ricordare i veri valori della società contemporanea: la famiglia unita sotto al crocifisso, l'eterosessualità impossibile a scalfirsi, il paradigma fallocentrico su cui l'intero sistema delle relazioni sociali si sviluppa. Sembra tutto in ritardo di un paio di decenni, insomma, nella sceneggiatura (da un soggetto di Henri Bernstein) a cui collaborano Marcel Achard, Vittorio Calvino, Pierre Billon e Giorgio Capitani; gli ultimi due condividono anche i crediti di regia e per Capitani in particolare si tratta dell'esordio: il primo passo di una carriera durata quasi sessant'anni. Nel cast non mancano gli elementi di rilievo, da Raf Vallone a Francoise Arnoul, da Ave Ninchi a Giorgio Albertazzi in parti marginali; tutto è realizzato con notevole professionalità, ma la sostanza rimane scarsa, già vista e francamente pure un po' stantia, come rilevato. 3/10.
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