Regia di Michele Soavi vedi scheda film
Quando lo lessi, il romanzo di Massimo Carlotto Arrivederci amore, ciao (2001) non mi piacque. A deludermi fu proprio lo stile dello scrittore, perché invece il tema e l'idea alla base del romanzo erano più che interessanti. Il libro di Carlotto è uno di quelli che mi confermano nell'idea che nell'attuale panorama narrativo (italiano?) vengono raccontate, talvolta bene altre volte male, tante storie, ma c'è poca Letteratura. La prima conseguenza di quella delusione fu che rimase a impolverarsi su una mensola un altro libro di Carlotto, La verità dell'alligatore, che non ho ancora letto.
In ogni caso, l'idea di partenza dello scrittore padovano era, come dicevo, buona. Detto in poche parole, si tratta di raccontare come i rivoluzionari di ieri, coloro che negli anni Settanta avevano scelto la lotta armata, attraverso un processo di trasformazione opportunistica, pur in assenza di una vera autocritica, si siano convertiti agli agi e ai peggiori difetti del capitalismo, candidandosi anzi a classe dirigente dell'Italia dei nostri tempi. Il protagonista di Arrivederci amore, ciao dotato di particolare cinismo, compie una serie di passaggi che lo portano a diventare un elemento importante del tessuto politico-economico del prospero Nord Est, quello che almeno fino a poco tempo fa veniva definito la locomotiva d'Italia.
Nel film di Soavi, regista al quale non si può certo fare alcun appunto dal punto di vista tecnico, si perde di vista proprio il contesto, quello nel quale il protagonista riesce ad inserirsi con mezzi sempre più loschi, per mascherare con un crimine ogni crimine precedente, utile ogni volta a preservare la falsa immagine di rispettabilità che si è creato. In sostanza, dal film si ricava l'impressione di una vicenda individuale, una sorta di romanzo criminale all'americana, mentre nell'originaria concezione di Carlotto, come detto, era insita (e non era certo secondaria) una critica alla nostra società, così permeabile da parte dei malavitosi, ma anche ai gruppi di ex rivoluzionari convertiti ai benefici del capitale, con lo scrittore che ha buon gioco nella descrizione dell'ambiente del reducismo politico, che ha conosciuto molto bene, assai da vicino, se non proprio dal di dentro.
Alessio Boni, nelle vesti del personaggio principale, fa la propria parte, così come Michele Placido in quelle del poliziotto corrotto Anedda (personaggio che funge da volano per le infami imprese del protagonista) e così pure Isabella Ferrari e Alina Nedelea nei fondamentali ruoli femminili.
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