Regia di Michael Apted vedi scheda film
Fu sempre visto con gran timore quel blocco sovietico che per anni perdurò fino al termine della Guerra Fredda: quel comunismo che tanto si allontava dai testi gramsciani e marxisti, non trasmettendo la giusta idea di giustizia e benessere che un vero cambiamento sociale faceva sperare. Michael Apted realizza uno dei migliori film di spionaggio e che meglio sviscerano quell'Unione Sovietica prossima al disfacimento.
Complice il bel romanzo di Smith, Apted riesce a ricreare una Mosca viva, tangibile, così storicamente ineccepibile che quasi si può analizzare. Non solo le personalità e i pensieri politici di allora, ma persino status sociale di ogni singolo individuo, parte di questa comunità ridotta alla miseria e terrorizzata da una burocrazia militare autoritaria, la quale al minimo accenno di antipatriottismo ti salta addosso sbranandoti. Basti guardare case e palazzi: fatiscenti all'esterno e bugigattoli all'interno; o l'auto di Renko, che nonostante sia un ispettore si deve accontentare di un'auto sgangherata e ormai sorpassata. Siamo ben lontani dal mondo globalizzato che ci veniva mostrato nelle pellicole anni 80, qui c'è un sistema sociale per niente funzionante, che colpisce e annienta i giovani, più che i figli di famosi generali dell'Armata Rossa.
Giovani che non si sentono affatto partecipi di questo regime, più simile ad una dittatura che altro, tentano di scappare (o sarebbe meglio dire espatriare) affidandosi ad una nazione, che a prima vista sembra più giusta, incarnando il sogno di libertà, il sogno americano; ma come capita sovente, essi si ritrovano strumentalizzati da un sistema corrotto e spezzati nei loro sogni e nelle loro vite.
Apted, però, non si riduce a girare mero cinema propagandistico: l'occidente viene criticato apertamente tramite la figura di Jack Osborne. Un magnate capitalista, che spaventa, non tanto per la sua crudeltà, ma per la sua banalità: assetato non di potere, ma di denaro e corruzione, dimostrando come la vera differenza non stia in comunismo e capitalismo, ma in istituzioni e popolo. Renko si ritroverà in mezzo a questa rete mortale in cui l'ideologismo politico è cancellato a favore della compravendita, in un mondo ove regna sovrano il nichilismo.
La genialità di Apted sta proprio in questo: egli ha trovato il modo di rappresentare un complesso girone infernale (purtroppo più reale di quanto si pensi), attraverso un semplice incipit da film giallo: un delitto qualunque avvenuto nel Gorkij Park, polmone verde di Mosca, che si rivelerà ben presto un tumore maligno. Ovviamente il risultato è una trama complicata e ramificata, difficilmente digeribile dal pubblico meno esperto; e bisogna ammettere, che si dilunga troppo in taluni casi aventi punti morti, diventando davvero pesante reggere fino alle scene clou veramente importanti.
Apted non se la cava male dietro la cinepresa: ricalca con accortezza i tempi del noir più classico, limitandosi a qualche carrellata significativa, ma rimanendo statico persino nelle scene più movimentate.
Non un problema, ma lo diventa se le sceneggiature fanno cilecca: Dennis Potter tenta di riprendere il più fedelmente possibile dialoghi e momenti del libro di Smith: nel suo non tralasciare nemmeno una virgola finisce per dare al film un dualismo tra scene mozzafiato e scene perfettamente evitabili, che fuse alla regia salda e immobile di Apted rendono il film altalenante, come già scritto sopra.
Eccelsa è però la fotografia di Bob Larson e Hawk Kockh: da sola riesce a dare la sensazione di declino dell'URSS, caratterizzata da una colorazione ocra, poco luminosa, ma anzi grigia e spenta: arieggia un senso opaco all'ossessionante clima sociale respirato a Mosca, rappresentando soggetti architettonici ben lontani dalla bellezza neo-moderna e interni fatiscenti.
A conquistare sono anche le prove attoriali: William Hurt è in gran forma, riesce alla perfezione ad incarnare il cittadino russo perbene, quello fedele agli ideali della rivoluzione di Lenin, eroe dall'etica ferrea che non vuole arrendersi alla corruzione dei suoi capi; tramite i suoi sguardi cinici e acuti è il perfetto erede di Marlowe. Anche Lee Marvin nella sua (non) ultima vera interpretazione colpisce per freddezza di sguardi e impassibilità di fronte alla decadenza e delitti, rigido come un'istituzione per l'appunto. Nota di merito anche a Ian Bannen e Joanna Pacula tutti e due calati perfettamente nella parte.
Geniale e complesso come un vero rompicapo, questa pellicola è un piccolo capolavoro del suo genere: nonostante alcuni lati negativi, ci pone alla perfezione temi inventivi, poetici e creativi, ponendo lo spettatore nella stessa posizione dell'ispettore Renko. Disilluso sia dal regime Brezneviano, che titubante e incerto verso l'occidente capitalista.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta