Regia di Douglas Sirk vedi scheda film
Se lo si paragona ad altri melodrammi di quel periodo, che impazzavano in America e nei festival europei (Forbidden di Frank Capra, The Sin of Madelon Claudet di Edgar Selwyn), e che condividono il tema della madre e del figlioletto separati troppo presto, Schlussakkord sembra quasi la loro parodia. Soprattutto per la verve che lo muove e ne determina la spigliatezza, una verve tutta di dissolvenze incrociate, idee espressionistiche di messa in scena (il sogno a teatro, che ricolloca la scena e concede all’innocente Hanna la sua dose di potenziale crudeltà), transizioni fuori controllo, virgole di eleganza pre-fassbinderiana (il fiore sul pianoforte), prospettive inaudite (il pov del bambino da sotto il tavolo), accostamenti quasi sarcastici (il finale con la Madonna e il bambino). Un dizionario di idee visive che usa uno humour quasi slapstick e un montaggio contrappuntato senza dimenticarsi la scardinante intensità del melodramma (specie nella scena in cui il baronetto ricatta Charlotte, con quei primi piani eccessivi e quasi provocatori), e un uso della musica che può portare pure a interrompere l’incedere del racconto pur di prendersi il suo tempo per alludere, sintetizzare, emozionare. Questo tempo dedicato alle performance, teatrali e musicali, sembra trovare in modo molto moderno il piacere di scoprire metafore grottesche e spunti metanarrativi, che Sirk inquadra con virtuosismi allucinanti e vertiginosi.
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