Regia di King Vidor vedi scheda film
Un anno prima di assurgere a grande notorietà con La grande parata (una delle vette del suo periodo muto), King Vidor diresse questo interessante Wild Oranges, tratto da un romanzo di Joseph Hergesheimer, adattato dal regista stesso. Racconta di John Woolfolk, marinaio bostoniano che, dopo aver perso la moglie in un tragico incidente, si rifugia su di un'isola remota (e non meglio specificata), dove fa la conoscenza di Millie Stope, affascinate ragazza che vive sull'isola insieme al nonno, fuggito per motivi politici. La giovane, però, è insidiata da Nicholas, un evaso dal fisico taurino e dai modi rudi.
L'intreccio è quello di un feuilleton (i romanzi d'appendice erano assai in voga in quegli anni), ma vivificato dalla capacità di Vidor di evitare tanto derive teatrali quanto eccessi barocchi. E se certi momenti sono ridonanti (il tentativo di stupro così come le didascalie pomposamente e un po' ingenuamente letterarie), l'incipit magistrale e la sequenza del mare in tempesta anticipano il genio visionario de La folla. Straordinarie la capacità di dirigere gli attori (con personaggi che un istante prima ci paiono capaci di brutalità efferate e il secondo dopo testimoniano una tenerezza impensata) e quella (meno scontata) di sfruttare le potenzialità ritmico/visive del pro e del postfilmico (c'è persino una scazzotata accelarata). Non certo un capolavoro, Wild Oranges ci dimostra in nuce come il cinema di Vidor sia stato un cinema visivo, capace di esprimersi con potenza e necessità in ogni suo primo piano o campo lungo.
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