Regia di Sam Mendes vedi scheda film
Tra Buzzati e Kubrick, Coppola e Altman, il mediocre Mendes prova a parlare (sentenziare) di spersonalizzazione da trauma perdendo per strada, lui per primo, personalità (ne ha mai avuta?), stile, registro e coerenza stilistica. Plagi talmente spudorati - e divertiti, va detto - da apparire perfino simpatici. Carne al fuoco troppa, e goffamente incendiaria. Alla fine si fanno male solo due wurstel... e l'interessante incipit sulle attese sfibranti, il nemico vagheggiato, sfocato, idealizzato e invisibile (Buzzati puro), finisce per sciogliersi in un magma oleoso tra una battutaccia cameratesca e uno sprazzo d'isteria, un maldestro singing in the oil e un paio di uscite 'politically correct' da yankee-imperialista-illuminato. Un' incertezza filosofica, prima ancora che stilistica, da far cadere le braccia. E figurarsi se poteva mancare il reduce del vietnam toccato e patriota, ossimoro vivente, perfetto per ribadire la tesi/antitesi secondo cui la-guerra-è-orribile-ma-per-la-patria-questo-e-altro. Che poi è tutto e il proprio contrario. L'orrore dei corpi carbonizzati e la 'poesia' del colpo perfetto che non può non esser sparato... il progressivo e neurotico distacco dalla realtà e la nostalgia per il campo di battaglia e le sue gioie sublimate... il sospetto diffuso di antimilitarismo (di grana grossa) a braccetto con l'esaltazione superoministica di tutti i clichè più retrivi sull'epos, il cameratismo e l'onore. Insomma: Sam Mendes e Sednem Mas, da sempre autore bicefalo... e spesso due non ne fanno una.
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