Regia di Sam Mendes vedi scheda film
Prima di lodare i film antibellici, assegnando loro la palma d’oro per il miglior mezzo con cui demolire le convinzioni e la fede militari, bisogna che tutti si leggano “Una Nobile Follia” dello scapigliato Tarchetti, primo romanzo antimilitare della storia delle letteratura. Infatti tutti gli scrittori, e tutti i registi, che si sono avventurati nel territorio della fiction bellica, pur accusandola e denigrandola, hanno poi sempre preservato qualche aspetto, come l’onore, la vendetta, il sacrificio, per riscattare in parte il negativo. In Tarchetti invece, la ferocia, sia narrativa che dei contenuti, con cui l’autore racconta la parabola bellica di Vincenzo D. è tutta indirizzata allla distruzione della concezione militare delle istituzioni e delle ambizioni personali. La guerra come completo nonsenso, senza ma e senza però a riscattare il negativo. Sam Mendes fa la stessa cosa, e la fa bene. Punto di forza è l’alienante deserto in cui si snodano i momenti centrali della vicenda, che fa molto “Deserto dei Tartari” è vero, ma non è un’ingenua scoppiazzatura o una facile citazione, è invece la consapevole ricontestualizzazione e risemantizzazione di una forma di rappresentazione del pensiero. Prova, questa, che le epoche e le mode e le tendenze passano, ma a rimanere sono i pensieri, gli ideali e le lotte umane. In più chiaramente, il cast davvero azzeccato. Primo tra tutti quel Jake “grandi occhi” Gyllenhaal che da “Cielo d’Ottobre” non ha sbagliato un colpo. Con quella faccia giusta, normale, ci arriva interamente in grembo mentre siamo seduti in sala. Ci sorride, ci inveisce contro, ci parla, ci sfotte, ci masturba, ci ama, ci difende. Tutto. Avvertiamo tutto proprio grazie alla freschezza con cui ci arriva la sua inquietudine. Si passa dall’entusiasmo al dubbio, fino alla follia. Quest’ultima reinterpretata alla grande da una fotografia e da una set decoration infernale che scaraventa i protagonisti nei gironi danteschi. Il film si apre con un omaggio a “Full Metal Jacket” e a “Apocalypse Now” per i quali vale la ricontestualizzazione di prima.
Irrita la guerra. Non la comprendi nemmeno quando vedi gente che ci crede e che ci muore. E questa povera gente, povera perché c’è da compatire chi crede nel potere militare, ne esce distrutta, con le ossa rotte, sporca di petrolio, merda e piscio. E nonostante questo continua a professare, più frustrata e repressa di prima, la propri filosofia paramilitare anche nella vita di tutti i giorni, senza accorgersi che difendere il proprio paese non significa rispondere Signorsìsissignore, ma saper dire di no, contestare e disobbedire, evitado così che l’amato paese si faccia male da solo. Ce lo dice “Jarhead”, ma ce l’ha detto pure “Black Hawk Down” con il grande Josh Hartnett che si chiedeva se ne valeva davvero la pena. E lo diceva davanti al cadavere dell’amico morto in guerra.
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