Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film
Un Fassbinder minore, ma non privo di spunti. Latita la componente politica, mentre tutte le attenzioni del regista sono rivolte alla psicosi della protagonista, tipica moglie/madre del ceto medio. I referenti si sprecano, e del resto tematiche del genere sono già stati affrontate da una varietà di registi, da Antonioni a Bergman, col precedente immediato di "Una moglie" di Cassavetes. Certo, il volto dell'ottima Margit Carstensen (una delle varie attrici-feticcio di RWF) non ha i lineamenti aspri della straordinaria Gena Rowlands, nè il suo sguardo minaccioso, ma questo è funzionale al tono "opaco" su cui si muove la regia di Fassbinder. Quest'ultimo, al solito, sfrutta tutto lo spazio scenico a disposizione, percorrendo interni domestici con sinuosi carrelli, distanziando corpi (e menti e anime) in profondità di campo, avvalendosi del potere metaforico di specchi, finestre, soglie, increspando l'immagine come fosse una superficie acquatica, abbondando coi primissimi piani sul volto spaurito della donna, sui suoi occhi ambigui. In comune con i temi forti della filmografia del tedesco, c'è lo straniamento. Ma non è tanto quello brechtiano inerente al discorso politico, che come detto è qui lasciato un po' da parte. Piuttosto, si tratta di una sorta di "straniamento estetico": come in altri ritratti di donna di RWF, anche qui si respira un'aria da Hollywood anni 50 (non necessariamente Sirk), con una donna problematica alle prese con continui cambi di umore a cui corrispondono spostamenti logistici. Questa instabilità però, diversamente dai melo americani, non porta a nulla: è un giro a vuoto intorno ad una paura di cui non si riesce a stanare l'origine, nè a scorgere la fine. Tutto il film è giocato sul dissolversi della trama, della psicologia, dell'immagine stessa, sul ripetersi quasi bunueliano di atti e situazioni. Ricorda un po' anche "Images" di Altman, pur senza le sue frantumazioni temporali e il suo scoperto onirismo. Film sul vuoto e sulla nevrosi, cerca di colmare le pecche del copione con una regia che inventa poco, ma che almeno riesce a tenere un tono omogeneo per tutta la durata. Il resto, come in altre opere ufficialmente "minori" di RWF (ad esempio "Despair" col grande Dick Bogarde), è tutto sulle spalle del comparto attoriale, in primis ovviamente la biondissima, glaciale, fragilissima, imperscrutabile Carstensen.
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