Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film
Fra le opere meno celebrate del compianto maestro Fassbinder, forse perchè troppo programmaticamente politica (e chissà? forse per tutte quelle staffilate inferte all'ipocrisia del Partito Comunista Tedesco, che causarono infami e patetiche contestazioni al Festival di Berlino del 1975), "Mamma Kuster" è in realtà un altro memorabile tassello del discorso fassbinderiano sulla sopraffazione (affettiva, erotica, sociale, istituzionale) che regola i rapporti umani, definendo diritti e doveri, forti e deboli, secondo uno schema ineluttabile, fondato sul possesso. Ispirato al classico di Jutzi (misconosciuto capolavoro della Nuova Oggettività tedesca degli anni 20), questo film ne adotta il sentimento di disperazione e impotenza proletaria, incanalandolo nella consueta impalcatura melo-brechtiana cara al regista. La povera Mamma Kuster, uno dei personaggi-madre più toccanti della Storia del cinema, oltre allo strazio per la perdita del marito, deve subire la meschina violenza sfruttatrice di mass media, familiari, comunisti, anarchici. Si può criticare RWF per una certa programmaticità, al limite del didascalismo, nel rappresentare le varie tappe del processo di umiliazione subito da Mamma Kuster, l'odissea di una pura di cuore in un mondo invivibile, dominato dalle logiche più ciniche e perverse; ma si tratta di un espediente necessario a definire ipotesi e dimostrazione di un teorema sociale. I personaggi che circondano e assediano Mamma Kuster sono disumani, oltre ogni credibilità, poichè è il loro rispettivo ruolo che li rende asettici esponenti categorici di diversi interessi: fama (la figlia), potere (comunisti ed anarchici), successo (i media), indipendenza affettiva (il figlio e sua moglie). Rigore e straniamento si accompagnano, come sempre in RWF, ad un gusto per la messinscena che corteggia tentazioni decadenti, senza mai cadervi: un utilizzo del colore, dello spazio, della profondità di campo, del movimento di macchina mai gratuito, mai esibizionista, ma sempre volto a definire psicologia ed umore dei personaggi (anche nelle scene meno importanti). Simbolica la prima sequenza, coi membri della famiglia già isolati, inquadrati pertanto separatamente sino alla notizia radiofonica della morte del padre; intenso e lacerante il numero musicale di Corinne; sarcastico il carrello all'indietro sul discorso dell'esponente del DKP, metafora di un'utopia sempre più irraggiungibile. Può lasciare perplesso il doppio finale: le didascalie per la versione europea, un improbabile happy ending per quella americana. Se qualcuno conosce il motivo di questa bizzarra scelta, si faccia avanti. :-)
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