Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film
Col dramma proletario Mamma Kuster va in cielo (o Il viaggio in cielo di mamma Kuster, titolo forse ironico oltre che derivato da un classico film muto di Piel Jutzi) R. W. Fassbinder torna all'assalto, fa un altro film scomodo che scatena lamentele e contrattacchi (la proiezione al Festival di Berlino del 7 luglio 1975 venne interrotta). Le cause sono la franchezza e la semplicità dell'approccio nei confronti dello sfruttamento ideologico, la critica, chiara negli intenti eppure pacata nello stile, contro la voracità e il fariseismo della società, dei partiti, dei media, delle manipolazioni di fatti e caratteri usati come merce.
Fassbinder dirige con lo scopo di far riflettere un ampio pubblico con stile chiaro e non troppo invadente (il che non vuol dire sia sciatto), la storia narrata con linearità è anche trattata con una aderenza diretta, concreta e sincera dell'immagine e della sua costruzione: essenzialità che guarda alla eloquenza delle inquadrature e dei "silenziosi" movimenti di macchina o del montaggio (come nel comizio del partito comunista).
Regista e spettatore compartecipano nei confronti della protagonista mamma Kuster (una ancora formidabile B. Mira, così forte e pura nei suoi modi dimessi e umili): ella è l'unica giusta, l'unica che rivendica il rispetto per la memoria del marito, certo colpevole, ma non pazzo mostro sanguinario, il rispetto per la vita sua e dei familiari, che d'altronde non disdegnano di approfittare della "pubblicità" (la figlia Corinna di I. Caven). Mamma Kuster però non è perfetta, anche lei sbaglia, è la vittima sfruttata dall'altro, soprattutto giornalisti sciacalli ([G. John] con la differenza che i veri sciacalli sono utili alla pulizia, servono all'equilibrio naturale, mentre questi consumano il fatto e sconciano la vita privata per scopi di carriera e millantata informazione: la storia è sempre questa, ma non fa mai male ricordarla per mezzo dell'arte, dato che il meccanismo mediatico va per la sua strada affamato anche della sua stessa, blanda, constatazione critica, cannibalizzandosi) e politici in preda all'ideologia (da salotto o violenta:... [K. Bohm, M. Carstensen, Matthias Fuchs]). Un'eccezione parziale potrebbe essere il figlio Ernst (Armin Meier, amante suicida di RWF), ma anch'egli è influenzato dalla moglie egoista (Irm Hermann).
Le peripezie patetiche di mamma Kuster sfociano in un finale dapprima tragico, poi ironico, poi del tutto tragicomico nell'ultimo fermoimmagine con la faccia desolata e smarrita della povera donna in balia di forze più grandi di lei mentre scorrono didascalie (questo che ho visto è uno dei due finali del film).
La conferma che Fassbinder (come P. P. Pasolini e pochi altri) dovrebbe (deve) essere fatto conoscere nelle scuole anche oggi, trasmesso in televisione (paradossalmente?), capito e assimilato per formare una coscienza critica ed equilibrata e poter iniziare anche solo in parte a capire se stessi e gli altri. 8
Di Peer Raben, poco presente per concentrare l'attenzione sul fatto concreto, ma seriamente ironica nei titoli di testa con i suoi dinoccolati ritmi e melodie.
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