Regia di Kirk Douglas vedi scheda film
Non chiedetemi un giudizio per questo bellissimo film: amando i cieli sereni del primo autunno, quando le nubi mattiniere lasciano poi spazio all’azzurro delicato e quasi polveroso della giornata, e i monti e i loro versanti, finalmente liberi dai vapori, riacquistano le loro tinte pastello, non sarei giudice imparziale, ma mi lascerei sopraffare da queste e altre suggestioni. Ho infatti un debole per i treni, e specie per quelli che oggi sbucano dalle gallerie come ieri sbucavano, lassù nei passi alpini, i draghi dalle loro cavarne. Per i torrenti , dove tra pozze e massi levigati, nello scintillìo di mille rifrazioni, tra giochi d’ombra e il musico gorgogliare meglio riaffiora la nostra infantile anima ludica (che invenzione quel gioco di palla in mano alla sgangherata compagine!). E poi sono ancora là, nella piazza semivuota, fermo davanti alla cuspide cinerina da cui rimbalza l’eco dell’ultimo anatema <non vi darò tregua!>: l’ostacolo da superare, che chiude una storia e ne riapre altre cento. Dovrei staccarmi, ma ho pochissima voglia di farlo! “I giustizieri del West” sembra, come negli antichi miti, una creatura nata per inseminazione plurima di favori: ogni dio benevolo vi ha lasciato qualcosa. Qualche saggio l’ha tenuta con mano ferma lontano dalle derive farsesche, cui pure era facilmente esposta; qualche maestro le ha donato lo smalto di colori brillanti, e qualche altro, con discrezione ed efficacia, ha cavato il suono giusto con cui accompagnarla. Tra le comparse, menzione d’onore al telegrafista, giovanotto dalle movenze eleganti e sinuose (indimenticabile quando sbuca dal suo ufficio all’arrivo del treno, liberandosi quasi da una muta), così ligio e preso dal suo ruolo, da cambiarsi il berretto ogni qualvolta il servizio lo richieda! E all’indiano, l’ingombrante ed enigmatico Innocente, che in questo dramma a lieto fine non poteva mancare.
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