Regia di Michael Winner vedi scheda film
Siamo a Los Angeles. E’ qui che il mitologico Paul Kersey si è trasferito, ancora sotto schok dopo le sue gesta di giustiziere in quel di New York. Stavolta è sua figlia a farne le spese, violentata e uccisa da un gruppo di bastardi di strada tra cui anche Laurence Fishbourne. Il film è più violento del primo, più serrato. Ormai non c’è bisogno di convenevoli. Sappiamo chi è Kersey, sappiamo come lavora, quello che pensa e quello che fa. Sappiamo che ha il volto di Charles Bronson, il monumento, e non ci serve nient’altro. Più concentrato sull’azione e sulla secca violenza, esplicita quanto basta per urtare, il film è meno politico e sociale del precedente, che già era di poco inferiore alle due pellicole regina del neo-nato poliziesco violento e urbano americano, ovvero “The French Connection” e “Dirty Harry”. Qui si indaga meno il dolore del protagonista, anche perché già lo conosciamo. Qui non ci si dilunga nell’introspezione iniziatica del giustiziere, sappiamo già come cresce in lui la rabbia e la consapevolezza dell’azione. Sapendo già tutto questo, il film, che ospita per l’ultima volta Vincent Gardenia, è pronto per essere servito e fruito senza troppi giri di parole, come nello stile del suo divo insostituibile: Charles Bronson.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta