Regia di Nelo Risi vedi scheda film
Lo so che non è un capolavoro, ma l’argomento di La colonna infame è talmente doveroso da renderlo necessario e dunque da consigliare a tutti. Il film di Nelo Risi è tratto da un’opera breve ma non minore del Manzoni, che, come tutti i grandi libri, è al tempo stesso narrazione, Storia e Filosofia. Ed anche trattato di diritto penale: non si dimentichi che Alessandro Manzoni, benché non fosse un giurista, era, per parte di madre, nipote di Cesare Beccaria, nonché figlio naturale del più giovane dei fratelli Verri. Il Diritto, con la D maiuscola, ce l’aveva nel sangue. La storia della colonna infame manzoniana è una discesa agli inferi dell’aberrazione del comportamento umano in determinati momenti di crisi, quando si creano dei meccanismi perversi dai quali non è possibile uscire, se non tornando indietro per la strada sbagliata che si è imboccato. Nella Milano del 1630, c’erano tutti gli strumenti per capire come poteva essersi diffuso il contagio della peste e per prendere i corretti rimedi di profilassi per evitarne l’andamento pernicioso che purtroppo ebbe. Invece si preferì credere alle unzioni (o in subordine agli influssi astrali), per confermare le quali si ricorse a metodi disumani ed antigiuridici come la tortura. La storia della colonna infame è un testo ancora attuale, perché mette in guardia dagli abusi della giustizia e dagli eccessi di menti obnubilate dall’odio e dalla paura. Il film di Risi, pur con qualche sequenza interpolata rispetto al libro del Manzoni (come l’ultimo colloquio tra il Mora e la moglie), rende bene l’atmosfera di quel tempo terribile e spaventoso e non tradisce lo spirito dell’originale manzoniano. La ricostruzione ambientale è sapientemente accurata ed alla riuscita generale contribuiscono la fotografia di Giulio Albonico e le interpretazioni di Francisco Rabal (Mora), Vittorio Caprioli (Piazza), nonché una delle migliori prove della carriera di Helmut Berger (il capitano Arconati).
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