Regia di Duncan Tucker vedi scheda film
Un film che, oltre ai consueti interrogativi sulla natura dell'amore e sulla definizione di termini come paternità o famiglia, pone il problema umano del rapporto tra essere e voler essere. Queste condizioni, di solito, sono diverse e perfino inconciliabili: non è raro che alla vocazione non corrisponda il talento, e che l'aspirazione non sia sostenuta da adeguate capacità. Ragionando per analogia, si dovrebbe concludere che un uomo desideroso di diventare donna sia solo vittima di un'eccentrica velleità, se non di una vera e propria malattia psichica.
Per contro, la storia di Stanley/Bree avanza il dubbio che, invece, possa trattarsi della normale reazione di una mente sana e consapevole di sé imprigionata in un corpo del sesso sbagliato. Se davvero esiste una psiche femminile (ai genetisti ed ai neurologi il compito di appurarlo), la disforia sessuale sarebbe allora imputabile ad un errore della natura, che unisce un corpo e un anima di generi opposti. Un essere umano si riconosce come tale per confronto con i suoi simili; e si sente di appartenere alla specie anche se il suo aspetto fisico magari gli suggerisce il contrario, a causa di qualche anomalia morfologica congenita o acquisita. A quest'ultima (qualora si tratti, ad esempio, di un arto mancante o malformato) è certamente opportuno rimediare. Perché, allora, il discorso non dovrebbe estendersi anche al caso di un corpo le cui caratteristiche sessuali siano in disaccordo con le inclinazioni spirituali e affettive di un'anima che sente di appartenere al mondo femminile?
Se si suppone, invece, che la coscienza di genere sia un dato acquisito a posteriori, in base alla classificazione che noi (con o senza l'aiuto dell'ambiente) operiamo su noi stessi e sugli altri secondo le nostre sembianze, allora la cosiddetta riassegnazione sessuale del transgender dovrebbe tradursi non in un intervento chirurgico, bensì in una terapia a livello psicologico.
Il fatto interessante è che, in entrambi i casi, l'iter del transgender non può essere una deviante fuga nella trasgressione, bensì un percorso di riallineamento con il resto della società, che lo porti ad essere, come la protagonista del film, a tutti gli effetti, una donna tra le donne. Bree non fa della propria condizione una bandiera politica, né un capriccio individualista, bensì la percepisce come uno stato di grave disagio da cui occorre risorgere con coraggio e determinazione, uniti ad un profondo senso di responsabilità. Questa persona, per cui essere una donna non è un dono di natura, ma deve essere una dolorosa conquista personale, non confonde la sincerità con l'ostentazione, né la dignità con un'egocentrica forma di orgoglio. Il suo outing non è una provocatoria dichiarazione pubblica, bensì un modo aperto ma discreto, coerente ma non ottuso, di vivere il proprio stato, senza nulla nascondere, ma senza nemmeno rinunciare a quello che, per tutti, è il giusto limite del pudore.
Intelligentemente originale è la scelta di proporre la delicatissima problematica della transessualità nel contesto familiare, e, per una volta, nella figura di un genitore che deve spiegare la propria scelta al figlio. Ne risulta una rappresentazione semplice, accurata e sensibile di una realtà nascosta.
Impagabile è il modo in cui incarna una femminilità tenue e materna sovrapposta ad una mascolinità sbiadita. Eppure non ha proprio quel che si dice "le physique du rôle"....
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