Regia di Duncan Tucker vedi scheda film
Sottilmente toccante. Sottilmente comico. Sottilmente irriverente e politico. "Transamerica" è un on the road che rispecchia fedele il canone del genere, evidenziando il viaggio come percorso di formazione che qui ha come componenti sofferenza e rinascita, ma sa approfondire le tematiche sociali e umane come un dramma vicino alla tragedia. La perfezione della pellicola sta nel riuscito mix di commedia e appunto di dramma. Un dramma mai cercato, mai voluto e per nulla esagerato quando arriva. Il primo conflitto tra Bree e il figlio Toby arriva imprevisto, a freddo. Poi, stemperato, porta avanti l'azione. La tenerezza con cui si legano i due opposti, di dramma e commedia, è una tenerezza mai patetica, mai retorica, a tratti irriverente. Sa infatti di commedia sofisticata in più punti, e in altri si ride proprio di gusto. Ma si sorride anche, si strizzano gli occhi, e ad alcuni possono pure brillare. Alla fine il viaggio della brava e in parte Felicity Huffman, per conoscere il figlio e diventare donna a tutti gli effetti, diventa riflesso di un paese e di una società in cerca di se stessi. Come l'esempio del grande Graham Green, indiano diventato cowboy per ripararsi dal sole, anche la scelta di Stan alias Bree alias Felicity Huffman diventa una scelta sì importante, ma vista con naturalezza, come se fosse una cosa normalissima. Combattuta, discussa e forse anche odiata, ma in fondo in fondo naturale. La parentesi dell'incontro con la famiglia di lei/lui approfondisce l'aspetto sociale del film, penetrando nelle fisse e nella morale dell'americano modello. Forte e diretto è il bravo Kevin Zegers che crea il conflitto principale della storia. A tratti audace e imprevedibile il film di Tucker gioca a spiazzare il pubblico più perbenista. E se anche lo si prosciugasse di tutte le sue tematiche sociali, rimarrebbe uno straordinario silenzioso on the road.
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