Regia di James Ivory vedi scheda film
La Cina, nei momenti delle sue svolte drammatiche (dalla rivolta dei Boxer al ritorno di Hong Kong alla madrepatria), è stata quasi sempre una trappola per i registi occidentali che vi si sono avventurati: sempre sul filo del rasoio dell’eleganza figurativa fine a se stessa, del folklore immaginario, del rimpianto imperialistico, del sontuoso effetto cartolina. Fecero eccezione Steven Spielberg con L’impero del sole, dai tragici ricordi infantili di J. G. Ballard, e David Cronenberg con M Butterfly, dalla storia di un vero amour fou, perché interessati entrambi al percorso emotivo del loro protagonista più che al ”colore locale”. Non fa eccezione invece James Ivory con La contessa bianca, la storia dell’incontro e del sodalizio di un ex diplomatico americano cieco che vuole creare il suo locale da ballo perfetto e di una contessa russa vedova che mantiene tutta la famiglia scampata alla Rivoluzione del ’17 ballando nei locali equivoci di Shanghai. Scritto da Kazuo Ishiguro (autore del romanzo da cui era tratto l’ultimo bel film di Ivory, Quel che resta del giorno) e interpretato da Ralph Fiennes e da mezza famiglia Redgrave (Natasha Richardson protagonista, affiancata da mamma Vanessa e da zia Lynn Redgrave nei ruoli, rispettivamente, della zia e della suocera), La contessa bianca è un film dalla sceneggiatura improbabile, che racconta tutto, platealmente, e non suggerisce nulla, e che ha dimenticato il gusto della sospensione e dell’ambiguità psicologica. Spreco di talenti, certamente non di emozioni.
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