Regia di Laurence Dunmore vedi scheda film
Film biografico in costume, cupo e struggente, alquanto sottovalutato. Ha il pregio di essere stato interpretato con un'intensità tale da sembrare realistico. È basato sugli ultimi anni della vita di John Wilmot, iI conte di Rochester, che era anche uno scrittore e poeta inglese.
La bellezza di quest'opera bistrattata consiste nell'essere una pièce teatrale davvero ben fatta: recitazione come già detto ineccepibile, scenografie che riproducono con zelo le decadenti ambientazioni londinesi di quell'epoca, ottima fotografia, costumi e trucchi perfetti e colonna sonora adeguata. Forse, soltanto la sceneggiatura ricca di monologhi logorroici e di lunghi dialoghi che non sempre rendono giustizia alle potenzialità della trama, avrebbe potuto essere sviluppata meglio. Inoltre, la regia si rivela distratta e dilettantesca con le sue inquadrature poco centrate e traballanti e il suo montaggio banale e insoddisfacente - si nota che era abituato a dirigere solo pubblicità e non pellicole cinematografiche.
Il dramma illustrato è emozionante e straziante.
Il protagonista è un uomo erudito e ironico, ma amorale, spesso volgare e senza pudore, corrotto dalla sua debolezza per il sesso, che nonostante sia già sposato con una donna pura e buona, che lo adora, s'innamora di un'attrice che riesce a farlo sentire pieno di passione per la vita dopo tanto tempo che non gli succedeva e che, in seguito, gli darà anche una figlia.
Lui le fa da mentore, aiutandola a migliorare le sue abilità attoriali. L'epilogo, però, è molto tragico. Il conte morirà lentamente e soffertamente di sifilide, assistito dalla moglie, nonostante l'avesse inizialmente messa da parte.
Le sequenze finali sono pertanto le più toccanti. Mostrano un John Wilmot ormai distrutto nel fisico e nell'anima dalla malattia.
Un film meritevole, una perla rara che arriva al cuore e fa riflettere sulla vita, sull'amore irrazionale, sulla bellezza dell'anima, sui vari aspetti della sessualità, sulla corruzione, sul tradimento, sulla solitudine, sulle malattie incurabili, sull'autodistruzione e soprattutto su quell'opprimente senso di riscatto che può pervadere l'essere umano cosciente di aver toccato il fondo, dopo un'esistenza fatta di eccessi e dissolutezze.
Superlativo e intenso Johnny Depp nel ruolo di John Wilmot. Nonostante questa sia forse la sua migliore interpretazione di sempre e la più differente nel suo repertorio, non ha vinto l'Oscar. Forse l'avrebbe meritato.
Buone anche le prove di John Malkovich e di Samantha Morton.
La regia però non convince. Si rivela piuttosto dilentantesca soprattutto a livello tecnico. Ha effettuato un pessimo montaggio.
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