Regia di Niki Caro vedi scheda film
Quando il ruolo di protagonista non spetta alla persona ma all'abuso, si è di fronte a un asserto, a un proclama o a un'arringa. Quando l'umanità si divide nettamente in uomini e donne, in vittime e carnefici, in eroi e vigliacchi, quello a cui si sta assistendo è un discorso a senso unico. Quando d'un tratto, miracolosamente, il bene, la virtù e la giustizia trionfano su tutto, e l'epilogo è all'insegna dell'"e vissero felici e contenti", è lecito sospettare che si tratti di una favola. Non basta un atto accusatorio, con annessa rassicurazione finale, per fare una vera "storia". Questo film è come una bilancia con un piatto sovraccarico, su cui grava un colorito elenco di soprusi a sfondo sessuale e scatologico (serviti allo spettatore con un sensazionalismo condito di sadismo), e a cui è aggrappata con mani e piedi la povera Josey, violentata dall'insegnante, oppressa dal padre, picchiata dal marito, molestata dai colleghi di lavoro, calunniata dalle loro mogli. Troppa (dis)grazia per una sola donna; e troppo decisa, nell'intento degli autori, la volontà di collocarne l'origine nell'altrui malvagità o miopia. Improbabile questa società di lupi in cui Josey Aimes è l'unica santa martire del femminismo. Ed improponibile, come emblematico traguardo di emancipazione, la conquista di un posto di lavoro nelle sudicie miniere del Minnesota. "North Country" dimentica che la frustrazione e l'abbrutimento derivanti da un ambiente difficile sono la principale piaga delle aree depresse; ed è a questi, e non alle cosiddette "pari opportunità", che Niki Caro avrebbe dovuto indirizzare la sua analisi. Pretendere di applicare, ad un contesto arretrato in cui prevalgono lo sfruttamento e l'inciviltà, gli schemi illuminati delle moderne politiche di "genere", è una ingenua forzatura.
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