Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
La salita al cielo del titolo non è, come si potrebbe intendere di primo acchito, un’esperienza ascetica, bensì una salita terrena, molto terrena, di un autobus su un’impervia strada sterrata che porta alla sommità di un monte, dove il giovane contadino Oliverio riesce finalmente a consumare il proprio matrimonio, seppure con una donna diversa dalla moglie appena sposata. “Subida al cielo” è, per ammissione dello stesso Buñuel, il contraltare in commedia di “Los olvidados”, ma è anche un film surrealista, carico di fantasie ad occhi aperti (stupenda quella di Oliverio, dove le tre donne della sua vita – Albina, Raquel e la madre – si confondono in un continuo gioco di scambi, e dove sua madre, dall’alto di un piedistallo che prefigura “Simon del deserto”, lo tiene avvinto con una chilometrica buccia di mela) ed episodi collaterali che interrompono continuamente il viaggio, anticipando in tal modo sia “La via lattea” (il road movie interruptus) sia “Il fascino discreto della borghesia” (la consumazione del pranzo continuamente rimandata). Ma “Subida al cielo”, tra insperate nascite e improvvise morti, è anche un romanzo di formazione alla rovescia, nel quale l’onestissimo Oliverio impara l’arte dell’inganno, tradendo la giovane moglie ancora prima della consumazione del matrimonio (Raquel gli dice “tua moglie è bella, ma non è qui”) e poi ingannando quella coppia di cialtroneschi imbroglioncelli dei suoi fratelli, prendendo le impronte digitali della madre già morta. Ed infine “Subida al cielo” è, tra le possibili mille cose, anche satira politica, come dimostra il personaggio di Don Eladio, candidato al Parlamento, che predica la modernità e l’attaccamento ai valori tradizionali (simula commozione quando parla della propria madre) e rimane scornato quando il bus è tratto fuori dal guado da una coppia di buoi guidati da una bambina, mentre il suo trattore rimane impantanato nel fiume. Un Buñuel meno conosciuto, ma decisamente non “minore”.
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