Regia di Shohei Imamura vedi scheda film
Quando si accorgerà di noi la felicità?
Commovente odissea famigliare che ha il pregio di nascere da una situazione disperata senza mai perdere la voglia di reagire e di cambiare il proprio destino. Lo sciagurato dopoguerra giapponese è il contesto di questo dramma focalizzato nella parte centrale su molti personaggi per lo più emarginati, restituendo un'idea e un respiro di comunità molto credibile. Infatti Imamura non rinunciando ad attacchi al sistema capitalistico e alle sue speculazioni, non risparmia un occhio approfondito e sensibile anche ai dirigenti della miniera, schiacciati da un meccanismo sociale delirante, che non risparmia nessuno accanendosi però contro le fasce più deboli. Considerando questo elemento del contesto, non si può non notare l'altro punto fermo della sceneggiatura, cioè il rapporto stretto tra fratelli, qui proposto con una lucidità struggente, che enfatizza i sentimenti per rendere più facile l'emozione e colpisce al cuore con alcune sequenze (specialmente quelle dei numerosi addii) indimenticabili e dolorosissime. Pur essendo il primo periodo del regista, quello al servizio e sottoposto al controllo della Nikkatsu, la poetica di Imamura è lucida denotando un gusto maturato sicuramente dall'esperienza con Ozu, nell'esplorare le dinamiche famigliari sempre pronto però al particolare dei perdenti, denotando una maturità nello sguardo interessante (all'epoca aveva 33 anni), mi viene in mente la scena degli zoccoli sul molo inquadrata stretta e simbolicamente straniante. Poi il finale è molto importante perché dà senso a tutte le tribolazioni dei ragazzi aprendosi ad un coraggioso attivismo piuttosto che rinchiudersi nella più cupa rassegnazione, specchio della volontà di rinascita del Giappone dal disastro della seconda guerra mondiale.
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