Regia di Tonino Cervi vedi scheda film
Può un attore salvare un film? Dipende. L’Alberto Sordi che si avvia verso gli anni ottanta non è certamente uno dei migliori, e la dimostrazione sta tutta in questo film: maschera di se stesso, mostra la faccia più convenzionale de Roma, non si contiene, esagera leggermente. Eppure non potresti concepirlo in altro modo, con i suoi difetti di struttura e le forzature che, specie negli ultimi anni, lo condizionarono non poco. Non penso che fosse il più pertinente interprete per il Don Argante, ma comunque si pone al di là di giudizi oggettivi. È come se Sordi si fosse appropriato dell’immagine del malato immaginario, legandola a sé nell’immaginario dello spettatore medio italiano, così come farà con l’Arpagone de L’avaro di dieci anni dopo. Per il resto, il film è un tentativo di contaminazione della commedia all’italiana con il teatro di Molière con una spruzzata di commedia pecoreccia e qualche invenzione neanche troppo sfruttata. Si salva una florida compagnia di attori capitanata da Sordi (il cui nome è affiancato a quello di Laura Antonelli, nume tutelare della commedia soft) e composta da una vagonata di caratteristi divertiti (Caprioli, Blier, Vlady, Satta Flores, De Sica, De Sio, Bagno).
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