Regia di Federico Fellini vedi scheda film
(rispolvero un'analisi scritta più di mezzo secolo fa...)
L’ argomento.
Anche Giulietta degli Spiriti è ambientato in Roma o nei suoi dintorni, all'epoca stessa in cui il film viene girato. Questa volta poi i riferimenti diretti alla vita del regista sono ancora più palesi; la villa di Giulietta è situata nella foresta di Fregene, dove vive Fellini; la società che frequenta Giulietta è la stessa che circonda il regista; l'interesse per tutti i fatti metapsichici è comune ad entrambi. Senza pretendere di riconoscere in ogni personaggio del film un incontro reale di Fellini, o addirittura una ricostruzione parodistica delle figure degli stessi attori, come accade a volte in questo film; si ritrova comunque quasi sempre, in esse, la rielaborazione fantastica di presenze reali della vita di Fellini: i due indiani che circondano Bishma, il fachiro e la danzatrice, sono Sudata e Asoka, due famosissimi danzatori sacri indiani; tutti gli altri personaggi ruotano, come quelli che incontra quotidianamente Fellini nella sua vita, attorno a televisione, ricevimenti
mondani, snobistiche rievocazioni pseudoculturali ed esperimenti metapsichici. Infine la protagonista stessa, col suo nome, la sua villa a Fregene e l'attrice che la impersona, ci introduce decisamente nella vita privata dell'autore. Appare dunque subito chiaro che il personaggio di Giulietta, così fortemente e dichiaratamente ispirato alla Signora Masina, non poteva certamente, almeno nelle intenzioni dell'autore, riuscire "meschina", "stupide, geignarde", "ritardato-psichico", ed altre cosiffatte galanterie; eppure molti critici non solo hanno visto sotto questa luce la protagonista del film, ma hanno dato per scontato che tale dovesse essere anche nelle intenzioni dell'autore: "quasi programmaticamente banale o mediocre (…) simboleggia la nullità, il qualunquismo femminile: ci sembra che Fellini abbia voluto dire questo; e l'ha detto senza lasciar posto ad equivoci (!)". Le intenzioni dell'autore non devono interessare il critico, in sede valutativa; ma servano almeno come indirizzo alla ricerca; se Fellini dichiara di essersi ispirato alla. figura di sua moglie, cui è legato da stima ed affetto, può anche aver fallito nella realizzazione di tali intenzioni, ma il critico non può dichiararlo arbitrariamente, senza darne giustificazioni.
Perciò, indirizzato dall'argomento, io mi rivolgerò al film come ad un'opera di studio amoroso e realistico sul dramma di Giulietta, secondo uno sviluppo coerente dei modi inaugurati da 8 ½. Che poi i modi narrativi siano propri di Fellini, e non di Giulietta, è cosa ovvia e nient'affatto negativa, come alcuni vorrebbero: sarebbe invece un errore il contrario, come rappresentare caoticamente il caos o eroticamente l'erotismo. Ma di ciò si parlerà in modo più opportuno durante e dopo l'analisi critica.
Il soggetto.
Giulietta, donna semplice, di buon senso ma insieme ingenuamente sensibile alle forme anche più platealmente istrioniche di magia e di spiritismo, vissuta nell'ambiente superficiale o sensuale della ricca borghesia romana, ma reduce da una educazione religiosa ossessivamente chiusa e bigotta, che la madre permise con vuota indifferenza mentre vi si oppose energicamente la sfrenata vitalità del nonno; sposata da quindici anni con un brillante public-relationman cui è sempre stata ciecamente legata, ne scopre, dopo i primi sospetti, un tradimento. A ciò si accompagna la riscoperta della componente sessuale della vita, dimenticata dopo la morte del vecchio nonno libertino che tanto fascino e paura aveva esercitato sulla sua anima infantile. Ora Giulietta vuole conoscere il peccato del marito e capire il peccato in generale; ricorrendo ad un investigatore privato ed alla partecipata osservazione della morbosa vita sessuale di una vicina. Ma quando sta per abbandonarsi anche lei a questa vita, un ricordo della sua educazione religiosa la fa fuggire sconvolta; e si ritrova sola con le sue visioni, le sue tentazioni e i suoi fantasmi; invano cerca una via di salvezza chiedendo consiglio o aiuto a tutti coloro che la circondano, sollecitando un colloquio con la rivale o infine una spiegazione con il marito: ormai anch'egli diventa, per lei, parte del frivolo mondo esterno, e può partire per un breve viaggio "di riposo" con l'amante. Da sola, Giulietta deve lottare contro la ridda delle sue ossessioni, liberarsi dai tabù per vincere le tentazioni, e accettare finalmente, uscendo a nuova luce, la vita, per quello che è, nel suo valore assoluto.
La struttura.
Strutturalmente il film è imperniato sul grosso tentativo di Giulietta di avvicinarsi (solo per conoscere? o per vendetta? o per affogarvi il proprio animo lacerato? Tra è fatto sentimentale, che pur suggerendo molte spiegazioni non ne esige alcuna) all'orgia sessuale di certo mondo contemporaneo; tentativo introdotto da una serie di episodi della precedente vita di Giulietta, accompagnato da vari incontri di minor rilievo, che rappresentano altrettante proposte di soluzioni solo apparenti del suo problema, e concluso dalla riconquista dell'equilibrio, frutto di lotta violenta - anche fisica - contro gli incubi provocatile da una educazione alienante e contro le tentazioni, pure alienanti, delle varie soluzioni estranee che le vengono proposte: incubi e proposte narrativamente appesi ai due nuclei della scoperta del tradimento e dell'improvviso ritorno di visioni dell'infanzia.
Un terzo nucleo narrativo è quello della vittoria finale di Giulietta, simboleggiato dalla porta che si apre alla luce, quasi premio del coraggio o della fede dimostrata da Giulietta in quella lotta feroce. Indubbiamente anche questo ha il suo peso, nella struttura del film, proprio in quanto conclusione; ma lo stesso peso delle altre conclusioni dei film di Fellini, da Lo sceicco bianco a 8 ½: conclusioni che non sono mai definitive, perché si aprono sempre ad una vita che non è nuova, ma è ripresa dalla vecchia, con in più solo la forza di una nuova vittoria e di una nuova rinuncia, pronti per un'altra crisi o un'altra illusione.
Il significato.
Tematicamente, dunque, il racconto ci dice: Giulietta si libera dell'incubo delle visioni nel riconoscere il valore della sua vita come fondamentale rispetto ai fantasmi che la circondano. Ma sono cose astratte, dette così: cosa significa il valore della vita? O non è vita anche in quanto ha visioni, tentazioni, illusioni? Infatti, non appena accettato il "valore della vita", risentiamo le voci degli spiriti, ora diventati amici.
Dunque, non esclusione delle visioni, ma "solo la vita attuale ha il diritto di accogliere o rifiutare i fantasmi di ciò che è lontano nel tempo o nello spazio". Siamo al tema del film: quell’estrema univorsalizzazione che sia ancora caratteristica di quel determinato film.
So ora ci allarghiamo a considerare l'intera produzione felliniana, troviamo tanti temi diversi, ma uno stesso spirito comune, un'idea che è alla base dello stesso Fellini e che in questo film più che in altri viene folicemente realizzata nella sua luce più positiva: che la vita va affrontata sempre con coraggio, con fede ed amore per ciò che è, e non per soluzioni che in realtà non esistono: un alternarsi continuo di illusioni e delusioni, sublimato dal coraggio con cui lottiamo contro la tentazione continua della morte e dalla sempre maggior presa di coscienza della nostra accettazione. E, come esigenza, è ormai diffusa: la troviamo perfino nell'ultimo Antonioni, dove però resta esigenza di una soluzione all'alternativa intellettuale dalla disperazione o del suicidio, e perciò anch'essa intellettuale o al più estetizzante (vedi la favola della bimba sulla spiaggia rosa in Deserto rosso) mentre in Fellini è carnosa volontà, implicante tutto l'uomo, anche l'inconscio, anche il primitivo: questa è la novità, la forza, la poesia di Fellini. E accanto alla "carnosa volontà" di accettazione della vita, ad essa strettamente legata, ma forse ancora più importante, è la "carnosa" rappresentazione della vita stessa; elemento formale di un mondo poetico, ossia di un mondo di forme e non di concetti o di sentimenti.
Analisi critica.
Le prime inquadrature ci presentano la villa di Giulietta, raccolta, isolata nel verde, ora cupo per la semioscurità di un tramonto già compiuto. Un carrello in alto e avanti accarezza un salice piangente e lo supera lentamente per avvicinarsi alla casa ormai illuminata. E' chiaramente ricreata l'atmosfera sentimentale da fumetto o da romanzo d'appendice: la casetta intima, nell'idillico ambiente naturale, in cui la fedele sposina si prepara ad accogliere degnamente il ritorno dal marito.
Sono per ora solo notazioni narrative, ma che servono ad annunciare lo stile lussureggiante del film; inoltre esse preparano e danno verità poetica al personaggio di Giulietta, imbevuto di un'educazione sentimentale e fumettistica; infine serviranno - lo vedremo - a dare efficacia artistica alla prima scena del film.
Notiamo anzitutto la naturale, istintiva predilezione di Fellini per certe immagini: in questo film, in cui manca completamente la visione di fontane, tanto care al regista (specialmente quelle notturne), questo salice posto in primo piano ne richiama l'immagine, annunciando le dolenti sensazioni di solitudine e di abbandono di cui esse sono spesso evocatrici o testimoni (un tale annuncio è probabilmente una mia arbitraria forzatura di critico, ma mi sembra compito della critica rilevare tutti i possibili richiami utili ad una interpretazione estetica, anche a rischio di trovarne di inesistenti: sarà semmai compito di un successivo lavoro quello di sfrondare le tante notizie inutili e coordinare le rimanenti).
Entriamo in casa: mani attente recano un lungo fiammifero per accendere i ceri: siamo già introdotti in un rito. Tutto il film, e tutta la vita di Giulietta, è un susseguirsi di riti, perché ogni fatto della vita acquista per lei un significato sacrale, e perché il film vuole narrare proprio il dramma che scaturisce da questo fatto.
L'accensione dei ceri contribuisce anche all'atmosfera sentimentale già notata, consente o giustifica narrativamente il mutamento stilistico che avverrà fra poco all'arrivo del marito, ed infine dà occasione alle battute iniziali di questo, e quindi al primo crollo di un mito e interruzione di un rito; crolli ed interruzioni che si ripeteranno, quasi sempre con arte squisita, nel corso del film.
Seguono alcune osservazioni ambientali nel gusto provinciale dei fumetti: specchi, parrucche, vestiti, due cameriere: la casa è signorile e lo fa vedere.
L'ingresso di Giorgio ha toni asciutti di neorealismo, sfruttando ancora una volta sapientemente la tenue illuminazione a candele. Il suo arrivo porta delusione, ma non c'è tempo per notarla; subito dopo chiasso confusione falsità impediscono alla stessa Giulietta di concentrarsi nella sua delusione, e ne esaltano per contrasto il senso di vuoto: il trionfo anche visivo di luci e di colori per l’accensione della luce elettrica, dopo la penombra dell'attesa, accentua il senso di invasione generato da quello scatenarsi improvviso di persone estranee. Anche i fiori, i colori, gli ornamenti della casa, nati per l'intimità, diventano ora sfacciatamente inutili. Giulietta segue disorientata cose e persone, e l'obiettivo si sostituisce al suo sguardo, raccoglie ancora una volta di sfuggita gli ormai inutili fiori; vicino ad essi Giorgio, cui erano destinati, appare ormai anch'esso estraneo; il povero lampadario, ricco di colori sgargianti di gusto per lo meno discutibile, ma adattissimo ad un anniversario di matrimonio ed in una casa borghese, ora parla anche esso a vuoto e troppo forte, come Valentina, come tutti, mentre nessuno ascolta. Così pure il vaso di fiori, sfiorato appena (ma non distrattamente) dalla macchina, per sparire subito.
E' questo montaggio di cose che costituisce lo stile di Fellini, particolarmente in questo suo ultimo film: la forza espressiva delle scene non è affidata alla pur perfetta ed aderente resa figurativa o coloristica delle immagini, né all'interpretazione di qualche attore, né all'invenzione o alla struttura del racconto, bensì proprio alla eloquenza di cose viste in un certo modo ed in una certa successione: elementi formali, ma in quanto danno forma alla vita, non ai mezzi tecnici della sua rapprosentazione, come invece generalmente si intende con il termine "forma".
Si noti comunque che non si tratta nemmeno di un estetismo compiaciuto o artificioso. Fellini scopro ogni cosa come per caso, seguendo la tenue trama del suo racconto e i movimenti e le azioni dei suoi personaggi, sempre poeticamente veri e spontanei, anche se deformati e spesso inverosimili; mai un loro movimento appare dettato da esigenze visive o narrative; sembra che cose persone fatti immagini relazioni nascano contemporaneamente nella mente di Fellini, cosa che raramente accade in tanti artisti apparentemente più realisti e più rispettosi delle psicologie dei loro personaggi.
I personaggi che circondano Giulietta non subiscono alcuna modificazione psicologica; non solo, ma Fellini sembra preoccuparsi di presontarceli subito completamente, in quella deformazione tipizzata di maschere in cui li ritroveremo per tutta la durata del film: irrompono quasi tutti, all'invito di Giorgio, già inchiodati nei loro atteggiamenti inanimati, ripetibili all'infinito, che finiranno per ossessionare Giulietta, la quale è invece tutta tesa alla ricerca della spiritualità - sia puro in modo estremamente primitivo ed ingenuo - . Il loro ingresso è già un'offesa all'intimità di Giulietta, in tutti i sensi: primo amaro presagio dalla sopravvenuta indifferenza del marito, che por essi ha dimenticato il suo anniversario di matrimonio, essi le vengono da lui ipocritamente offerti come piacevole sorpresa aggiungendo così in Giulietta, al dolore per la dimenticanza di Giorgio, quello per l'impossibilità di rimediare nella pace di una serata intima; infine con il loro irrompere spensierato e rumoroso le impediscono anche la solitudine del dolore, mentre formalmente consentono, si è gia notato, di accentuare per contrasto l’espressione della delusione di Giulietta, che essi stessi hanno provocata. La stessa ricchezza chiassosa di luci e di colori che ben si adatta alla descrizione del loro ingresso si inserisce anche ottimamente
nello stile generale del film, estremamente lussureggiante a "barocco", come è stato da più parti definito.
- "Ma anch'io ti ho portato una sorpresa. Giulietta, guarda chi c'è!". E attraverso la porta spalancata li troviamo tutti raccolti in gruppo, come per una fotografia.
Ripensiamo alle pose immobili dei fumettari durante le riprese sulla spiaggia ne Lo sceicco bianco, a proposito dello quali Rondi osservava che "non è scherzo o caricatura, piuttosto è svelamento di una situazione rintoccante subito all'incubo". Strano che lo stesso Rondi non parli affatto dall'importanza che hanno queste presenze sugli incubi di Giulietta; egli si limita qui a pochi cenni, in verità stranamente inesatti, di puro interesse narrativo, mentre proprio queste presenze che circondano Giulietta costituiscono il più maturo sviluppo della sequenza citata de Lo sceicco bianco: l'immobilità non è più figurativa bensì sostanziale, di parole e gesti ripetuti all'infinito, in un completo vuoto spirituale.
Troviamo la scultrice Dolly (Dolores), sollevata tra lo braccia di un muscoloso giovane; subito dopo l'invasione Dolly enuncia il suo credo, che avrà più tardi grande importanza sull'animo di Giulietta: "Cucinare, scolpire, fare l'amore" e si abbandona come per dimostrazione ad un avido bacio.
Valentina, leggera e svolazzante, insegue il suo petulante cagnetto e parla, parla, con trilli e con gesti più che con parole.
Genius è quel genere di personaggio a proposito del quale si può ripetere quanto detto su Furio de Lo sceicco bianco; posto in funzione ironica, ad alleggerire per lo spettatore certe situazioni drammatiche, sempre presente con naturalezza (non lo vediamo mai arrivare né andar via), apparentemente inutile, dà invece l'avvio alla vicenda, destando i primi sospetti in Giulietta (allo stesso modo Furio aveva indicato a Wanda la via per raggiungere la sede dei fumetti e così dare inizio alla sua avventura).
Altri personaggi minori o meno importanti nell'economia del film si presentano in questa invasione; altri ancora subito dopo, sulla spiaggia: il dottor Raffaele, le nipotine, Susy, la mamma e le sorelle di Giulietta; soprattutto i primi spiriti, immagini barbariche ed erotiche che sbarcano nella mente di Giulietta subito dopo lo sbarco di Susy sulla spiaggia. Infine, ultima invasione reale, pur non comparendo mai materialmente alla presenza di Giulietta, Gabriella viene invocata in sogno da Giorgio addormentato. Ha così termine l'invasione di persone fisiche; da questo momento è Giulietta a muoversi, per cercare aiuto ovunque possa sperare di trovarne; finchè, incompresa o abbandonata da tutti, deve sostenere da sola l'ultimo assedio, questo tutto immateriale, degli spiriti.
Giulietta si rifugia in camera (quel suo grido davanti allo specchio "e adesso non far la stupida a metterti a piangere" così straziante eppure così pieno di coraggio e di accettazione), ma anche qui viene raggiunta da Val, che vuole a tutti i costi presentarle Genius. Questi rappresenta l'ultima degenerazione del sacerdote che celebra un rito: dal rito iniziale dell'anniversario, legato ad un mito, quello del marito, cui la celebrante crede profondamente, al punto da farne partecipi anche le due ancelle-chierichetti (ed è interessante notare come poco dopo, al sorgere dei primi sospetti, queste non saranno più partecipi, bensì ironiche - Elisabetta - o critiche - Teresina -), a quelli puramente formali di José, ad altri creati per nobilitare piaceri altrimenti volgari, giù fino a questi di Genius, non più creduti nemmeno come forme, anzi pure occasioni alla volgarità; non più credute nemmeno da Fellini, che pure tende a credere ad ogni genere di fatti motapsichici, ed è affascinato da ogni forma rituale (anzi, il silenzio sospeso che egli crea attorno alla seduta suona ironico o addirittura grottesco, dati gli interventi indifferenti dei partecipanti e le divagazioni della macchina da presa); e non creduto - mi sembra - nemmeno da Giulietta, nonostante il parere contrario di Rondi secondo cui essa "mette - in questo rito - un carico di passione sincera, di allarmata speranza. Ecco perché il primo messaggio del creduto spirito (...) getta la protagonista nella crisi e la tende subito al tumulto più infelice". Mi sembra poi addirittura assurda la pretesa ivi espressa di riconoscere in "queste risonanze delle voci (...) un echeggiare delle sue stesse voci inconsce, cioè degli istinti sessuali, puramente naturali, frastornati da un certo tipo di educazione".
La questione, di ordine psicologico, non mi interesserebbe, so non implicasse dei criteri di valutazione estetica: abbiamo lasciato Giulietta rifugiata in un breve tentativo di difesa interiore contro l'invasione e l'assedio che sta subendo da parte degli amici "profanatori". Perseguitata e raggiunta ancora una volta da Val e da Genius, Giulietta dove rassegnarsi a lasciarsi sottoporre ai suoi riti istrionici (e che si tratti di rassegnazione e non di "speranza", almeno qui, appare chiaro dallo sguardo di Giulietta e dai suoi tentativi di ribellione). Oppressione per l'arrivo di estranei e delusione per la trascuratezza del marito si alternano in Giulietta, impedendole di notare ogni altro fatto. E' questo - lo ripeto - il senso poetico di tutta questa prima sequenza, e Rondi lo ha ben riconosciuto, parlando di una "irruzione (...) favolosa, realizzata noi termini di un arrivo di mascherata, vagamente sinistra: un Bosch messo in movimento e rivissuto nei termini di costume d'una congrega borghese".
Ma così abbiamo solo una buona caratterizzazione stilistica della sequenza, non sappiamo ancora nulla sulla sua resa artistica. A tale fine mi sembra utile osservare come essa sfrutti proprio i suoi valori figurativi e stilistici nonché le simpatie anche tematiche di Fellini per giustificare fin dall'inizio il sorgere dei sospetti nella protagonista. Questa approfitta di un breve momento di solitudine per chiedere al marito conferma di quell'amore di cui incomincia a dubitare (ed abbiamo un altro commovente squarcio lirico, dovuto anche questo alla felicissima interpretazione della signora Masina, sempre precisa nella sua parte ma assolutamente mai banale).
Durante tutta la seduta spiritica lei resta distratta, e perciò unica seria fra le risate e le volgarità degli altri. È importante il tono volgare della seduta, che ci completa la presentazione degli amici di Giulietta, anche dando occasione a Genius di dire ad ognuno il fatto suo; Giulietta, pensierosa, è sempre immersa nei suoi sospetti, continuamente avvalorati, o almeno ricordati, da trilli telefonici o dalla voce indifferente del marito che scherza con un amico fuori della casa; a lui è rivolto l'interesse della protagonista, e il film ce lo ricorda ancora una volta chiaramente. Genius richiama l'attenzione di lei solo parlando di amore (il messaggio di Iris, "amore per tutti", è un modo facile, per un medium, per riuscire popolare, ma a Giulietta ricorda le disattenzioni del marito), e poco dopo ha facile giuoco dei suoi nervi ormai visibilmente scossi rivolgendosi direttamente a lei a nome di Olaf per negarle ogni possibilità di amore. La reazione che ne segue è naturalissima e non richiede una sensibilità particolare ai fenomeni spiritici.
Notevole la presenza delle cameriere - già ancelle di un rito-sacro - ora semplici testimoni di un fatto non più sacrale, e perciò arido ed a loro completamente estraneo; bisognerà attendere un nuovo rito perché esse ridiventino pie ancelle: quando saranno chiamate a partecipare alla preparazione del "sangria", in un rito, ora, squisitamente formale, ma altrettanto seducente; o quando Teresina chiuderà le imposte per preparare Giulietta all'ultimo assedio, così vero, vitale, questo, da rondore inutile, e pertanto appena accennata, e perciò ancora più struggente, la preparazione rituale.
La presenza delle cameriere duranto la seduta spiritica segna amaramente la fine di un rito creduto e la caduta nell'estraneità, mentre le loro parole annunziano allo spettatore la forte, quasi malata, sensibilità "spirituale" di Giulietta. Peccato che lo facciano in modo un po’ didascalico. Ma sotto questo facile insegnamento c'è una nota drammatica: anche il marito si preoccupa della sensibilità spiritica di Giulietta, proprio ora che questa passa in second'ordine; Giulietta è fin d'ora sola, le persone che le sono più vicine non la capiscono, non vedono la ragione vera e profonda di ciò che le accade.
Ben più toccante, più sincera è la tacita spiegazione del mutamento e sviluppo psicologico della protagonista, che ci vien data il mattino dopo: la casa è vista da fuori, come la sera precedente; la stessa casa e lo stesso verde, ma con luce e colori più contrastati, struttura dell'immagine più complessa, con al centro colori rossi di foglie secche; poi tronchi d'albero. E' poca cosa, ma non si respira più la stessa atmosfera di prima. Del resto si tratta di una breve immagine per annunziare il passaggio dalla notte all'alba: in funzione essenzialmente narrativa, non poteva essere stilisticamente più espressiva, per non creare scompensi. Inoltre anche il cambiamento psicologico è graduale: Giulietta ha qualche perplessità, ma il suo turbamento deve ancora maturare: tant'è che dorme serenamente, ed è già pieno giorno.
Ma il marito è già partito; e una nube passa sul volto di Giulietta, al suo risveglio: appena percettibile, e perciò tanto più delicata e naturale, in felice accordo con la levità del mutamento stilistico ed espressivo.
Incidentalmente osservo che Giulietta ha già la sigaretta in bocca; non l'abbiamo vista accendere, pur avendola seguita fin dal suo risveglio (ed è giusto, perché il fatto non avrebbe avuto alcun interesse, né narrativo, né espressivo), ma interessava coglierla già nell'abitudine (e proprio perché abitudine, non sottolineata, ma appena vista come fatto secondario) di fumare fin dal mattino, perché più tardi essa acquisterà interesse. Ho voluto indugiare su questo fatto, assolutamente inutile ad una analisi estetica, per riconoscere, anche nei particolari inutili, l'attento mestiere di Fellini, che pur nella sua esuberanza fantastica, sa essere preciso e coerente. Perciò, quando non lo è, il critico dovrà coglierne i motivi - o semmai giudicarli, ma non ignorarli - ; viceversa, anche nei momenti più ispirati, il critico sarà autorizzato a cercare tutti i fili sottili e sotterranei che costituiscono la trama "razionale" su cui è intessuta la sua fantasia.
Giulietta esce, e ritrova il tavolino rotondo della seduta spiritica e il talismano offertole da Valentina per "allontanare gli spiriti". Essa incomincia a sentire la perdita del marito: il tavolino le ricorda la frase di Iris "amore per tutti"; i suoi problemi si fanno più netti; gli spiriti cominciano ad assillarla, ed il talismano oscillante al vento ne sottolinea, anche visivamente, la presenza misteriosa e conturbante.
Una breve immagine di un pallone multicolore che rotola (si tratta di un comune pallone da spiaggia, ma rotolando rapidamente dà suggestivi effetti caleidoscopici) dissolve genialmente sull'immagine di due bimbe (le nipotine di Giulietta), viste sfocate contro la luce abbagliante riflessa dall'acqua. La dissolvenza è tanto più efficace se vista in moviola, spostando lentamente la pellicola: magicamente il pallone sparisce, e compaiono al posto le bimbe, dapprima confuse noll'alone di luce, poi sempre più nitide, come comparse per incanto. A proposito di queste brevi immagini che ci trasportano sulla spiaggia, posso ripetere quanto scrivevo recensendo il film su "Relazioni Sociali": "(...) suggestione di elementi inutili ad una logica sia narrativa che espressiva. E' questa una conquista di Giulietta degli spiriti: il procedere per accostamenti emotivi, anziché puramente razionali, è tipico di Fellini; ma mentre il cavallo abbandonato de La strada è ancora vagamente significante, e comunque resta un caso isolato, in 8 ½ questa tecnica viene imposta prepotentemente; e se il film è ben lontano dall'esserne solo un'applicazione sperimentale, come alcuni vorrebbero, è certo però che senza tale tecnica esso non sarebbe nemmeno potuto essere concepito. In Giulietta invece è ormai tecnica recuperata: non se ne abusa più; ma quando è utile viene sfruttata con sicurezza. Cito fra gli esempi migliori il ballo delle due bambine, e soprattutto, perché più tipica, la breve immagine del pallone che rotola lungo lo specchio d'acqua: stupenda scena fatta di niente, razionalmente ingiustificabile eppure perfetta (anzi, questi inserti cadono proprio quando sono giustificabili : come accade per i due nazisti visti da Giulietta durante i suoi incubi)".
Altro geniale stacco, dalle bimbe che corrono spensierate, su tonalità azzurre, freschissime, al dottore, pesantemente fermo, in un'immagine tutta rossi e neri.
Giulietta ricorre al dottore quasi involontariamente, o come per sfogarsi, senza sperare da lui un aiuto; eppure diagnosi e terapia suggerite sono esatte: Giulietta deve pensare di meno e entusiasmarsi di più: "si compri un cavallo - salti gli ostacoli - e, soprattutto, dica a suo marito di fare più spesso all'amore". È il primo di tanti soccorsi che Giulietta, cerca e trova e deve scartare, perché tutti esatti ma aridi, inutili: il rimedio deve arrivare da lei e dalla vita, ossia dal suo amore per la vita, e non dalle soluzioni esterne, mediche o magiche o psicanalitiche o erotiche o sentimentali o addirittura strettamente legali, che lo verranno di volta in volta suggerite. Il film è proprio la storia del rientro di Giulietta in se stessa, del recupero del senso o dell'amore della vita, attraverso la liberazione dalla cattiva educazione passata e dalle tante mistificazioni presenti, tutte potenzialmente vere e suggestive, ma inutili senza l'entusiasmo per la vita. Giulietta ha perduto l'ingenua fede che era di Gelsomina, o perfino la caparbia e spesso amara volontà di credere che sosteneva Cabiria; è troppo intelligente e sensibile (di una sensibilità colta) per non vedere subito l'inutilità delle sue richieste e la lontananza ogni volta diversa, anche visivamente, delle risposte trovate: il dramma di Giulietta, ma non del film, è tutto in questo suo fingere a se stessa di credere e di chiedere, sapendo che sarà poi lei a dovere, in definitiva, lottare da sola. Il regista segue ogni volta Giulietta con amore e con fiducia: il film risulta sostanzialmente sereno, soprattutto per chi già lo conosce; e la ragione è proprio in questa costante fiducia posta nella protagonista: lei non lo capisce, ma noi vediamo bene, in quel suo cercare ogni soluzione per chiarirne la già intuita inutilità, un vigoroso o sicuro lavoro preparatorio, uno sgombrare il terreno dagli intralci, per meglio combattere la lotta definitiva con gli spiriti. Questo lavoro si presenta esteriormente drammatico, ma noi, col regista, "sappiamo" che è il lavoro del forte che si prepara a vincere, e lo osserviamo con animo sereno.
(Per far ciò è necessario prima conoscere bene il film, superare le difficoltà interpretative e visive, cioè artistiche. La serenità ottimistica della contemplazione nasce allora spontaneamente, indipendentemente - è ovvio - da queste considerazioni concettuali, che servono a spiegarla, ma non a provocarla).
Soffriremo con Giulietta solo un attimo, quell'attimo terribile, intensamente doloroso che precede la battaglia, il "lamma sabactani" che ogni uomo è condannato a conoscere prima di ogni lotta decisiva: sarà il momento disperato della partenza del marito, il culmine drammatico del film e uno dei vertici dell'arte felliniana.
Infatti, nella sequenza sulla spiaggia, così come poi in tutte le altre, non c'è vera amarezza né vero dramma: "il senso di leggera nausea materialistica", che vuole scorgervi Rondi, non è "l'orizzonte" di tutta la sequenza, ma ne costituisce semmai un aspetto parziale, caratterizzante il tono di questa prima "risposta" data a Giulietta, e perciò limitata a qualche immagine del dottore, soprattutto alla prima statica presentazione di esso, come in un perfetto ritratto anche psicologico.
Ma André Bazin osserva giustamente che "la mise en scène fellinienne est débarassée de toute sequelle psychologique. Les porsonnages ne se definissent jamais par leur "caractère", mais exclusivement par leur apparence. J'évite volontairement le terme devenu trop étroit de "comportement", car la manière d'agir des personnages n'est qu'un élément de notre connaissance. Nous les appréhendons à bien d'autres signes, non seulement, bien entendu, au visage, à la démarche, à tout ce qui fait du corps l'écorce de l'être (...). Puis, au delà ancore, c'est alors le décor qui joue, non point assurément dans un sens expréssioniste, mais par les accords ou les désaccords qui s'établissent entre le milieu et le personnage.
Più importante è il senso di estraneità fra il dottore e Giulietta: estraneità sostanziale che si ripeterà ad ogni nuovo incontro, in modi sempre nuovi perché sempre adattati ai diversi antagonisti, ma sempre illuminati dalla costante sostanziale serenità della contemplazione felliniana, della fiducia nelle forze della protagonista: sarà questo ottimismo di fondo il denominatore stilistico che dà unità ad un film solo formalmente disgregato in tanti "modi" diversi, così come il "senso" di estraneità ne sarà il denominatore contenutistico.
Qui, illuminato dal tono materialistico, anche il distacco fra i personaggi è materiale: tutti protetti e isolati da occhiali da sole. Osserva ancora André Bazin: "(...) des indices, plus extérieurs, à la frontière de l'individu et du monde, comme (...) les lunettes (le seul accessoire dont il arrive a Fellini d'abuser comme d'un truc)". Sulle lenti del dottore appaiono addirittura - felice intuizione - due pupille rosse, riflessi della luce, elementi centrali del ritratto in cui egli ci viene presentato nella sua distaccata - perciò sostanzialmente falsa - sicurezza scientifica di medico materialista.
L'immagine successiva ci presenta contemporaneamente medico e paziente: separati da una vasta distesa centrale di cielo e acqua, e perfino dai colori vivi e opposti dei loro aspetti. Ai due estremi, due donne si disinteressano di Giulietta, e solo esse sono legate fra di loro, dai loro stessi movimenti e dai loro futili discorsi. Infatti sono esse a venire avvicinate dall'obiettivo: una viene a coprire col suo grosso sedere, malcoperto dal costume, il viso di Giulietta, mentre la camera, spostandosi, nasconde il dottore dietro l'altra donna (sua moglie), che ha in mano un uovo sodo; il dottore continua a parlare a vuoto, solo per parlare, rivolto apparentemente allo spettatore, chiuso fra l'uovo e le spalle dell'altra donna. Ritroviamo qui, in una felice sintesi, tanti elementi felliniani già notati: l'isolamento della protagonista in mezzo a persone "amiche", il parlare inutile e ossessivo di queste, il gusto visivo per i corpi grassi, crudelmente deformati, la futilità di argomenti che coprono quello drammatico della protagonista (ripensiamo alle "fetuccine calde calde" che interrompono la tristezza di Ivan); qui è tutto più sicuro, più intelligente e insieme più spontaneo.
Giulietta, continua da sola la sua via, sta allontanando da sé il dottore per mandarlo nel campo avversario; ben presto lo invocherà, nel suo primo incubo, inutilmente; più tardi le parole di lui le torneranno alla mente come ossessive assieme a quelle di tutti gli altri incontri che ora vuol cercare: dovrà vincere tutti, assieme ai suoi spiriti, per recuperare la sua pace.
"Mi bastava chiudere gli occhi": e noi vediamo, bella e sorridente, dal basso salendo fino al viso, tutta elegantemente avvolta di voli e circondata di rose arancioni, sullo sfondo marino sfocato e irreale, secondo un gusto liberty facile o degenerato, "la ballerina del nonno". E' l'annunzio, stilistico-sentimontale, ma anche fortemente significante, dell'arrivo di Susy e della sua comitiva; la stessa attrice, Sandra Nilo, impersona sia la ballerina che Susy, ad indicarne la sostanziale identità; qui infatti anche Susy appare, annunziata da un morbido canto esotico - con lievi inflessioni erotiche appena accennate, ma che diverranno dominanti nel canto della negra nella villa di Susy -, sullo sfondo delle linee sinuose del fiume, fra ciuffi di snelle canne, alta o sinuosa anch'essa, quasi emergente dalla natura, secondo una delle più schiette esigenze del liberty.
In Italia il liberty è arrivato in ritardo: trionfò agli albori della guerra, prolungandosi, per quanto possibile, anche dopo, e dominò la fantasia infantile della giovinezza di Fellini, come, nel film, quella di Giulietta; Fellini stesso ebbe a dichiarare che tale scelta non è culturale, bensì rispondeva ad un incubo della sua infanzia.
Il liberty si è ispirato alla natura, sviluppando forme imitanti il mondo vegetale, il linee sinuose, fluide o contorte e attorcigliate. Spesso poi ha accolto elementi precedenti, neoclassici o neobarocchi o neogotici, ed altri di provenienza dall'Estremo Oriente, in un trionfo lussureggiante esagerato, a volte soffocante.
Visto nel ricordo, attraverso gli occhi innocenti di Giulietta bambina, esso appare come voleva essere nella purezza delle sue intenzioni, una fusione innocente e delicata dell'uomo (della donna) con la natura, e la ballerina appare sull’altalena (immagine cara a Fellini, e tipico elemento di fusione con la natura: si pensi al primo incontro con lo sceicco bianco), circondata di fiori, quasi fiore anche essa, nella morbida o sinuosa eleganza della sua figurina. Allo stesso modo Susy, che si identifica sostazialmente con la ballerina del ricordo, appare dapprima, come in una favola, emergente dalla natura, nuovo fiore sbocciato all'improvviso, snella e leggera come le canne che croscono sulla spiaggia; ed esercita sulle nipotine di Giulietta lo stesso fascino che la ballerina esercitava su Giulietta bambina (e questa le correva incontro, in una rievocazione che vedremo fra poco, come ora le bimbe corrono incontro a Susy).
Ma raramente il liberty ha realizzato pienamente questi ideali di purezza naturalistica; in Italia poi è arrivato soprattutto nella versione estrema della Secessione viennese, con eccessi figurativi e con frequenti riferimenti sessuali e erotici, talvolta espliciti, da "Eros lesbico" a "Eros Thanatos" alla Danae "pronta a ricevere". Perciò, come ha detto Moravia, il liberty italiano "corrisponde al massimo della alienazione borghese: in realtà è una specie di incubo figurativo sul quale inconsciamente si esprimono le tendenze degenerative a sfondo sessuale della borghesia all'orlo della catastrofe definitiva del '14".
Esso è nato infatti dal particolare atteggiamento della borghesia italiana di fronte al sesso e ne ripete approssimativamente le linee di sviluppo: il sesso non appare ancora ai bambini in forma chiara, bensì in immagini di "fitomorfismo" delicato e spesso stilizzato; solo in un secondo tempo si chiarisce gradatamente come tale, pur senza arrivare a svolte brusche o a momenti di rottura: secondo l'ordino naturale, esso si conserva evidentemente sempre legato ad immagini di fioritura primaverile. Ma se un'educazione "bigotta" interviene a modificare questa evoluzione naturale, condannando ogni manifestazione sessuale in nome di leggi morali o religiose male intese, il fascino che "la primavera" esercita sul bambino non potrà, nell'età matura, chiarirsi in questa direzione e, priva del suo sfogo naturale, si svilupperà in esasperate forme floreali, secondo i modi,, appunto, del liborby viennese; e in questa forma vorrà generalmente convogliata in altre direzioni, particolarmente in quelle religiose.
D'altra parte il sesso, mai raggiunto spontaneamente dall'interno perché ormai prospettato come tabù, si affaccerà all'orizzonte dall'asterno, in aspetti deformati, ponendosi come alternativa alienante anziché come matura integrazione della personalità e naturale compononte della vita. È a questo punto che, quando viene ritrovata ed accettata in modi esasperati, l'esigenza sessuale recupera spesso quei motivi naturalistici che, in modo tanto diverso e più limpido, la accompagnavano all'inizio. E' quanto abbiamo visto accadere particolarmente in Klimt e, in forme meno originali, nel liberty italiano.
Il poeta non dice tutto ciò: egli "è un'eco armoniosa, che ripete di una parola solo alcune sillabe". Non fa considerazioni psicologiche né storiche; il recupero che egli fa del liberty non è determinato, come abbiamo visto, da ragioni culturali; eppure l'evolazione figurativa delle sequenze del film che riguardano Susy, come l'atteggiamento di Giulietta nei confronti di lei, sono facilmente paragonabili ai processi indicati.
Fellini non prende posizioni di carattere morale o intellettivo dinnanzi al problema del sesso. Ha creato un personaggio, lo ha inserito in un mondo, gli ha dato la vita dell'arte sua: ora quel personaggio può vivere di vita autonoma; Fellini lo segue, con amore e con fiducia, capisce il suo dramma e ce lo racconta cogliendo fatti immagini situazioni relazioni espressive. Ma lo coglie soltanto, non lo costruisce in funzione significativa, non lo piega a porre o a risolvere un problema: anzi, non esiste neppure in questo film, né per Fellini né per Giulietta, un problema sessuale, nel senso che non si pone la domanda se il sesso vada accettato o rifiutato, né in generale, né in casi particolari. Ciò che Fellini insiste a dire è che non bisogna farne uno scopo della vita né un elemento determinante di essa: egli combatte contro la mistificazione, non contro i singoli elementi mistificanti.
Allo stesso modo, Giulietta non si pone tanti problemi di accettazione o rifiuto quante sono le soluzioni che le vengono prospettate, né un unico problema di scelta della migliore fra esse, bensì, come ho già detto, si vuoi precludere definitivamente ogni via di fuga, dinnanzi all'attacco degli "spiriti", per combatterli senza retrocedere o tentennare.
Resta però vero che fra le tante risposte che Giulietta trova o demolisce quella sessuale, portale da Susy, è senz'altro la più importante, per la sua forza, per la sua polivalenza, e per la sua più o mano larvata presenza anche in tutto le altre, da quella medica iniziale a quella magica; la stessa soluzione religiosa, che non le si ripresenta più, ora, ma che aveva avuto troppa importanza nella sua educazione, finirà per tradire la sua sostanziale coincidenza con quella sessuale.
Perciò anche il modo liberty, che accompagna la figura di Susy, predomina nel film e avvolge di sé numerose sequenze; ma non per questo si può definire liberty tutto il film, né quelle stesse sequenze in cui il dramma (non si può propriamente parlare di "azione" drammatica, poiché si tratta per lo più del semplice "atteggiamento" di Giulietta) resta quello, già indicato, del distacco della protagonista, che non crede nelle risposte che cerca, mentre il senso resta quello di profondo ottimismo e fiducia nelle forze di Giulietta.
Si noti che la prima apparizione di Susy sembra un'incarnazione del ricordo di Giulietta: evocata dalla visione della ballerina, essa ne ripete i modi figarativi.
Giulietta la guarda ora con quel signorile contegno che si confà ad una signora di mondo, ma non scorge in essa alcun sintomo di quei significati morbosamente sessuali che vi troverà in seguito. Solo inconsciamente, forse, affiora qualche accostamento, per cui subito dopo Giulietta ha il suo primo incubo fortemente erotico, impostato sui toni fumettistici dei giornaletti che mascherano l'erotismo tabù sotto le apparenze del romanzo storico o avventuroso. A differenza di Wanda, Giulietta ne ha coscionza: sullo zatterone troviamo uomini vestiti modernamente, donne ben traccate, con frangetta alla moda, capelli ossigenati, azzurro sugli occhi e rossetto alle labbra; il fumetto non costituisce più, per lei, un'evasione di sogno, bensì un incubo, con toni cupi di un'oppressione soffocante.
Anche il motivo floreale ritorna a volte in queste immagini, ormai esasperato nella sua stilizzazione quasi grottesca, nei cupi geroglifici delle ombre proiettate sulla schiena di un barbaro.
Quanto a Susy, non la ritroviamo più fino agli episodi centrali delle due visite che le farà Giulietta. Perciò a prima vista può stupire che Giulietta ricorra proprio a lei per cercare la soluzione sessuale ai suoi problemi e che essa le appaia ora improvvisamente in una prospettiva così deformante: noi abbiamo colto le connessioni psicologiche che legano le degenerazioni sessuali a quelle forme che tanto affascinavano lei bambina, ed abbiamo osservato uno sviluppo storico da queste a quelle proprio nell'evoluzione del liberty; ma Giulietta non ha fatto considerazioni storiche né psicologiche, e la sua scoperta, ad un'analisi freddamente razionale, potrebbe sembrare arbitraria ed innaturale, anche se Fellini ha saputo presentarcela con naturalezza. Tuttavia abbiamo già notato che Fellini non si accontenta di una naturalezza apparente, di una coerenza epidemica, figurativa o sentimentale.
Le frasi ammirative del dottor Raffaele, suscitate dal primo arrivo di Susy sulla spiaggia, non denunciano l’importanza erotica di lei, poiché rientrano nelle normali esclamazioni maschili da spiaggia, e, se possono avare un'importanza indicativa nei confronti dello spettatore per il fatto stesso di essere state colte dal regista (ma sono piuttosto indicative dello stato d'animo del dottore, e soprattutto suggeriscono un confronto con la scarsa attrattiva sessuale di Giulietta, come prima lo parole di Genius, come poi quelle della madre), esse influiscono solo debolmente sul comportamento di Giulietta.
E' invece un breve episodio apparentemente senza importanza a giustificare narrativamente e psicologicamente l'improvviso mutamento di prospettiva che avverrà in Giulietta: Giorgio ha ricevuto dall'amico Josè un cannocchiale, e lo usa per seguire con entusiasmo le immagini di Susy, sua vicina di casa. Ne nasce un breve dialogo, in cui questa viene chiaramente presentata come simbolo sessuale; e Giorgio non cerca di mascherare la sua ammirazione.
L'episodio si inserisce bene nel contesto, sottolineando la grossolana indelicatezza di Giorgio e la raffinata eleganza e galanteria tutta spagnola di Josè, che delicatamente si scusa con Giulietta per l'uso che vien fatto del suo dono. Ma se ciò basta a giustificare stilisticamento l'episodio, non ne dice ancora la sua necessità (o in Fellini, o almeno in questo suo film, tutto ha una rigorosa necessità artistica): sia Josè, sia Giorgio, erano già stati ben presentati in quei loro atteggiamenti, e subito dopo ne vien data una conferma ben più chiara ed efficace (questa, veramente geniale) nell'imitazione della corrida, in cui Pisu riesce perfetto nell'imitare la pesante aggressività animale del toro, e ne scaturisce naturalissimo il movimento di Giulietta che si rifugia tra le braccia di Josè (non si dimentichi del resto che ormai Giulietta dubita sempre più della fedeltà del marito, ed ha già cercato inutilmente molte soluzioni - o meglio: le ha già eliminate -. Questo suo rifugiarsi fra lo braccia di Josè segna porciò anche un primo impulso di superamento negativo, di rinuncia anziché di racupero, al suo problema coniugale).
L'episodio del cannocchiale trova invece la sua necessità proprio nel presentare a Giulietta sotto nuova luce la figura di Susy. Ormai questa è diventata la rappresentante dal sesso, e proprio in quanto tale suscita l'amnirazione di Giorgio.
Posta chiaramente dinnanzi al tradimento del marito, Giulietta ricorrerà a lei, proprio perché ormai la vede nella potenza della sua dimensione sessuale. La sua villa si presenta subito in quelle forme grandiose che hanno caratterizzato la Secessione viennese, ed in essa si insariscono coerentemente costumi, statue, tappezzerie e tendaggi, un tripudio di rombi, occhi di pavone, spirali.
Notiamo particolarmente, a questo proposito, l'immagine della madre di Susy addormentata, tipica figura felliniana, colta un attimo o subito abbandonata, su quello sfondo di tendaggi violacei ad occhi di pavone, appunto, che la fissano: quasi a formare una gabbia attorno a quell'animalesco ammasso di carne dormiente. Ricordiamo la vera gabbia in cui è rinchiuso il matto de Lo sceicco bianco; e tante altre immagini simili si trovano in Fellini - simili quanto possono esserlo figure così assolutamente tipiche: simili proprio nell'esser tipiche, e perciò deformate, e nell'essere fuggevoli apparizioni; ma soprattutto nell'essere tutte deformazioni animalesche, sanguigne, fisicamente ripugnanti ma pur col fascino proprio del grottesco.
Anche la madre e la sorella di Giulietta si presentano, fin dal loro primo incontro al ritorno di Giulietta dalla spiaggia, in vestiti ed atteggiamenti del gusto liberty. Ma in esse non appare alcun significato sessuale (come è naturale, trattandosi delle sorelle o della madre). Perciò, soprattutto la madre continua ad esercitare su Giulietta tutto il suo autoritaro fascino: la ribellione ad essa sarà l'ultima ad arrivare, quando tutti gli altri possibili aiuti sono stati eliminati. Ma la sua importanza è minima nell'economia del film.
Più importante è invece l'elemento religioso, anche se non bisogna sopravvalutarlo. La religione è un dato di fatto, nei film di Fellini come nella società in cui egli vive: "io sono cattolico - egli ha dichiarato - , almeno sociologicamente. Sono un prodotto di un ambiente cristiano. Sono tipicamente italiano, imbevuto di civiltà mediterranea e di cultura occidentale. Non posso non essere cattolico" (Ho raccolto e tradotto la citazione da un libro tedesco; perciò essa può non corrispondere esattamente alle parole di Fellini).
La religione entra nel mondo artistico felliniano solo come elemento opprimente di un'educazione bigotta e meschina che, condannando violentemente il sesso, ne preclude il recupero naturale e lo innalza così ad alternativa mistificante. Lo abbiamo visto chiaramente in 8 ½; lo ritroviamo ora nel soffocante incalzare di suore senza volto e dalla voce spenta, che serrano in uno stretto e lugubre corridoio di morte spirituale la povera Giulietta bambina che si allontana piangendo dal teatrino in cui doveva rappresentare - anzi, reincarnare - la santa martire.
Una tal forma di educazione religiosa, lo abbiamo già notato, incanala in sé il gusto floreale dei bambini, e ripeto in generale i motivi del liberty: Giulietta si rivede ancora, circondata di gigli e legata su una graticola (pura struttura in ferro nudo: anche questa secondo la precettistica del liberty, teorizzata da Viollet le Duc). Il suo modo di pensare a Dio è ancora legato ad una tale visione infantile, la sua religiosità non ha fatto progressi.
E' significativo che questa concezione religiosa venga esposta da Giulietta proprio a Dolly, la sacerdotessa del sesso, la scultrice che ha vendicato le tante fanciulle violate nell'antichità dagli dei, violando a sua volta il suo dio, riducendolo alle "forme possenti" delle sue sculture sessuali, da toccare o da cui farsi amare... È, al solito, la degenerazione del mito che diventa grottesca; qui ci riesce insieme nell'immagine e nel concetto, entrambi potentemente demitizzanti per inflazione. Non sono tanto le statue a darci quest'impressione - non esiste un Fellini scultore (come non esiste un Fellini liberty, ma solo un modo suo di vedere e deformare il liberty, nella villa di Susy) - quanto la loro rappresentazione, i giochi di ombre e luci, il montaggio delle immagini, e soprattutto la scultrice stessa, nella sua voce, nella sua bocca, nei suoi movimenti, nelle sue parole.
E' il sesso diventato dio. Per Giulietta invece Dio era tutt'altro: era nascosto nel teatrino delle monache e ci si arrivava col martirio. Il nonno la tolse al martirio, le suore, e la madre, la ritolsero al nonno: suore senza volto e madre tutto volto, il dio senza carne e il dio solo carne; o meglio, la carne divinizzata e il martirio divinizzato; due tabù alleati, che solo svelando la loro alleanza potranno perdere la loro forza ossessiva. Perciò ora Fellini ce li accosta chiaramente, senza i traits-d'union stilistici e narrativi consueti in questo film.
Ecco infatti, opposte alla scultrice, le suore, sacerdotesse entrambe di riti per divinità formalmente opposte, ma sostanzialmente coincidenti; alla scultura segue la sacra rappresentazione, al tutto nudo il tutto velato, alle statue le tende, al contrasto netto e irregolare di ombre e luci il gioco soffuso e regolare di chiaroscuri, musica dolcissima, soavi varietà di celeste per l'innocenza infantile; ma quelle suore! Quanto più terribili e insieme più vere nella loro immobilità, dei già riuscitissimi - ma troppo epidermicamente polemici e spassosamente deformati - preti di 8 ½! E le voci… Andate in un convento a sentir pregare le suore, e le riconoscerete.
L'oppressione mistificante di una tal forma di religione è chiaramente denunciata da Fellini in queste immagini. Ma Giulietta non l'ha ancora capita: l'immagine della santa è ancora, per lei, un dolce ricordo, e non le si palesa nel suo vigore inibitorio; così come la religione del sesso le è ancora sostanzialmente estranea, nella sua grottesca deformazione.
Più tardi, nella villa di Susy, il ricordo della santa interverrà invece per stroncare il suo tentativo di evasione sessuale. Da quel momento sesso e martirio diverranno i due incubi principali, fino a chiarire la loro sostanziale coincidenza nell'immagine gemente della santa che scopre improvvisamente il suo volto di sgualdrina.
È, questo, uno dei più alti momenti drammatici, in cui è ben mascherato l'elemento didascalico (anzi, forse questo non è neppure intenzionale). Da questo momento anche il "martirio" è scartato; anzi, l’ultimo sforzo di Giulietta prima della vittoria consisterà proprio nel liberare se stessa bambina dalle fiamme del rogo, dalla prima, e perciò più radicata, sua alienazione.
Il che, come abbiamo già detto a proposito del sesso, non significa una condanna della religione - anche se molti hanno voluto interpretare il film in questo senso -. Ma non bisogna neppure, escludendo la risposta negativa, voler scorgere necessariamente nel film quella positiva. Semplicemente, lo ripeto, non viene più posto il problema della religione. Nel film compare solo quella forma ossessiva ed allienante di religiosità che è un elemento diffusissimo dell'educaziene borghese in Italia; così come il sesso compare solo come alternativa altrettanto totalitaria; e come tali vengono entrambe condannate: ma solo come tali.
Che poi venga data la prevalenza a questi due elementi, visti uno come soluzione, l'altro come effetto inibitorio di un'educazione sbagliata, dipende dal fatto che tali essi si presentano generalmente nell'Italia di oggi (o meglio, forse, già di ieri).
In questo senso potrebbe essere utile un confronto con la struttura della società italiana odierna, secondo lo schema proposto da Goldmann. Ma non dimentichiamo che Fellini coglie soprattutto l'apparenza di ciò che lo circonda: in passato aveva preso indifferentemente, come mito alienante, il mondo dei fumetti, o il matrimonio, o tanti altri. Ciò che lo interessa è la mitizzazione in sé, soprattutto vista nei suoi riti: mentre Giulietta percorre il suo viaggio fra i miti, egli ne compie uno parallelo fra i riti.
La centralità del mito del sesso mi sembra addirittura più stilistica che ideologica: una specie di esemplificazione, determinata dal fatto che Giulietta si sta tormentando per i dubbi sulla fedeltà del marito. Infatti i riferimenti che ella incontra, prima di andare a trovare Dolly e poi Susy, non sono sempre e necessariamente sessuali, ma riguardano generalmente l'amore, in varie forme: dalla rivelazione di Genius ("tu non sei niente per nessuno"), nient'affatto sessuale, al bacio scambiato fra Teresina e l'idraulico, al consiglio del medico ed a quello di sua madre ("truccati un pò"), al corso di estetica trasmesso per televisione, all'enunciazione, plateale, da parte di Bishma, di principi del Kamasutra (l'ormai celebre "codice d'amore indiano"), al nonno che fugge con la ballerina, a Josè, a Susy vista attraverso il canocchiale e infine a Gabriella vista sullo sehermo televisivo: è solo ora che si precisa un aspetto decisamente sessuale dell'amore, ed è l'ultima strada che Giulietta intraprende per piacere al marito e/o la prima per superare il dolore per l'ormai avvenuto tradimento.
La religione invece non viene mai prospettata come possibilità da scegliere in alternativa con altre: essa è sempre presente in Fellini solo nelle sue manifestazioni esteriori, oppure come elemento opprimente dell'educazione. Ma non se ne deve dedurre nemmeno, come fanno molti (p. es. Padre Taddei), che la soluzione religiosa, essendo l'unica a non venir respinta da Giulietta, resta quella che, alla fine, la salva.
È vero che essa non viene respinta, ma perché non viene nemmeno prospettata: Fellini sembra non capire la sostanza della religione, ed essa difficilmente può inserirsi, nella sua verità essenziale, negli schemi del mondo poetico felliniano. Il quale mondo è centrato sulla vigorosa rappresentazione della vita, nella sua importanza assoluta: ogni fatto, ogni personaggio, ogni pensiero, compare in esso solo in funzione della vita, ha senso in quanto manifestazione di vita: i fatti si riducono spesso a situazioni ed immagini tipiche, elementi figurativi per lo più ricavati da esperienze autobiografiche, eppure sempre variati e reinventati vigorosamente; ogni personaggio diventa un tipo, colto in deformazioni carnose e rappresentative di quella forza vitale esuberante, che investe ogni cosa, soprattutto ogni aspetto umano, rinnovandoli sempre nelle forma e negli atteggiamenti più strani; i pensieri non interessano mai da un punto di vista intellettivo, ma sempre solo in relazione alla vita, o sostituendo ad essa, nella sua interezza, qualche suo aspetto particolare, che rendono predominante; in tal caso diventano miti, mistificazioni, e vengono condannati - non ideologicamente, per carità, ma visivamente, per inflazione grottesca - ; oppure - e spesso contemporaneamente -incarnandosi in riti, ossia presentandosi anch'essi come aspetti visivi tipici della vita, e allora generalmente incantano e affascinano Fellini, anche quando le sue intenzioni sarebbero solo satiriche e deformanti.
La religione ritorna spesso nel mondo felliniano in tutti questi suoi aspetti esteriori, come oggetti di culto, figure di religiosi, processioni e riti, e soprattutto come oppressione mistificante; ma non può entrarvi nella sua essenza, perché essa non acquista valore o luce dalla vita, come manifestazione di essa, bensì a sua volta dà luce e senso alla vita stessa. Perciò, a Padre Taddei che interpreta va la porticina che, nella conclusione del film, si apre per Giulietta alla luce, come un simbolo della grazia divina, Fellini ha risposto che essa rappresenta invece la Provvidenza della vita. (Ho ricevuto questa natizia oralmente. Non so se questa interpretazione felliniana è già stata raccolta e pubblicata). È questa l'unica vera religione di Fellini: crede nella vita e nella sua Provvidenza; non gli interessa, almeno fino a questo momento, e per quel che concerne il suo mondo poetico, l'origine ultima di tale provvidenza.
"Di qui - scrivevo nell'articolo citato - l'importanza enorme della figura della Masina nei suoi film: Liliana o Wanda, Gelsomina o Cabiria, povera scema o prostituta, moglie ignara di un ladro che la ama, o consapevole di un ricco borghese che la tradisce, essa è sempre attaccata prepotentemente, tenacemente alla vita: in modi diversi e per ragioni diverse, come diverse sono le crisi e le sofferenze, ma sempre decisa a risollevarsi da ogni colpo, pronta a cogliere ogni bellezza, anche minuta, o a lasciarsi trascinare da entusiasmi potenti: è questo il denominatore comune che ha meritato alla Masina l'ingiusta accusa di ripetersi.
Ingiusta, perché la veste di questo spirito è sempre diversa e sempre viva: dalla Gelsomina, rozza maschera primitiva capace di pochi atteggiamenti appena accennati (ma di che potenza espressiva!) a Cabiria, così pronta a sputare con violenza tutto ciò che le cova dentro, a Giulietta, donna ricco-borghese costretta e abituata a nascondere i disappunti, a falsarsi di fuori, ma che sa leggersi chiaramente dentro (...).
I protagonisti felliniani hanno sempre una storia interna: storia di una crisi o di una illusione, unici fatti della vita: se mancano questi, è un irrigidirsi sotto una maschera caricaturale; non si è più uomini, ma automi che ripetono meccanicamente gli stessi gesti e che parlano, parlano sem-pre le stesso parole. Ecco dunque la spiegazione della rivalutazione di crisi, di illusioni, di disperazioni nel mondo di Fellini: fra una crisi e una illusione, ripetute sovente (anche più volte al giorno: quanti passaggi dal pianto al riso, in Giulietta!), o senza di esse, la vita non è che abitudine disumanizzata; ogni evasione e ogni lacrima, purché vista nella giusta posizione in rapporto alla vita, come momento necessario di essa, acquista una dolce, fiduciosa bellezza: perciò, a saperlo vedere, un film di Fellini è sempre rasserenante.
Perciò ricordi, sogni, osservazioni sono così suggestivi: ogni pagina è un capolavoro, perché ogni pagina è vista con lo stesso amore, col gusto di una nuova scoperta e la gioia di accoglierla a far parte della vita. (...)
Specialmente il motivo clownesco, esempio classico di evasione accettata come tale; e, opposto ad esso, quello del teatro, più partecipato e perciò più sofferto, perché non si presenta come evasione ma strappa alla vita per un breve tempo ogni precedenza, provocando un trauma nel ritorno alla realtà. Perciò i ricordi ossessivi sono associati ad una rappresentazione teatrale di Giulietta bambina (e la bimba, riportata dal nonno alla realtà, piange) e un sapore di recita teatrale acquista il mondo di Susy durante la festa: (...) tentativo di creare una nuova vita, così caricata, così barocca nel suo stile liberty, perché suona falsa in opposizione a quella vera.
La gioia non ne nasce spontanea, non diventa spensieratezza, e Giulietta ne sfuggirà violentemente, strappata dal ricordo di quell’altra recita, e incapace ormai di reinserirsi nella vita. Mentre un sapore clownesco ha la prima comparsa di Susy sulla spiaggia (e attira le nipotine di Giulietta, ingenue e perciò tanto più affascinate dal gioco del circo) e nel circo è ambientato il ricordo rasserenante del nonno, unico personaggio ironico, che cioè sa godere dei diversivi, perché li coglie come tali, e che in questa via le indicherà la salvezza. Geniale contrappunto clownesco (musica e danza trasmessa dalla televisione) durante la spiegazione col marito; quando questi si allontana dalla sua vita diventando anch'egli falso automa disumanizzato, nella ripetizione meccanica della frase banale dell’investigatore ("niente di definitivo, credimi, niente di irreparabile") (…)
E' un recupero artistico di ricordi personali, quello del circo come quello dell'esperienza teatrale (ricordiamo questa soprattutto in Luci del varietà, dove ha dominato solo narrativamente; ora acquista finalmente anche una potente dimensione artistica); la bigotteria religiosa come l'ambiente frivolo ed epidermicamente erotico di certa società borghese; l'ampia spiaggia deserta (Fellini è nato a Rimini) o - questa volta assenti - desolate piazze notturne; pranzi di nozze (che incantano Giulietta, come Gelsomina ne La strada) e alternative di morte (qua per la prima volta espresse cinematograficamente); malati che non hanno saputo approfittare delle evasioni, e perciò nemmeno acettare le pene della vita (anche qui, Arlette ha saputo ripetere la magia di episodi precedenti) (...) e alternative fantastiche di uomini brillanti, superficiali insieme e profondi, originali nel loro rapporto con la protagonista, ma meccanici in sé, nelle loro azioni, a ricordare il valore delle cose piccole, in una grande vita banale senza di quelle (Josè altrettanto stereotipato, eppure altrettanto magicamente profondo del Matto di Gelsomina, anche lui ad insegnare il valore del sassolino: ma ormai la parola ha solo un'importanza di accompagnamento, come deve essere); la fede in eventi magici o spiritici, come la poesia dei bimbi o della vita semplice, dai pomodori seminati da Gelsomina al serto di peperoncini conservati da Giulietta per l'inverno.
Infine soprattutto la suggestione di elementi inutili ad una logica sia narrativa che espressiva, di cui ho già parlato a proposito del pallone che rotola lungo lo specchio d'acqua, introducendoci alla sequenza della spiaggia. Accanto a queste sequenze irrazionali perché "di pura suggestione" ne abbiamo altre del tutto irreali, perché in contraddizione con le leggi del tempo e dello spazio: attorno alla figura di Josè se ne trovano alcune (dallo stesso annunzio fatto dal veggente - ma forsedavvero crede agli spiriti - a quando smette di ballare con Giulietta... senza aver incominciato) a rendere più evanescente, magica e suggestiva la possibilità di evasione. Ma sono contraddizioni toccate con delicatezza, che non arrivano nemmeno alla coscienza, e perciò non hanno alcun significato simbolico né altra funzione da quella di contribuire alla creazione di una certa atmosfera.
I riti felliniani sono sempre creatori di una particolare atmosfera suggestiva e affascinante, quando sono visti nella purezza della loro forma e nel fascino di un’evasione accettata come tale, e non come espressione di miti alienanti. Perciò il rito più suggestivo del film è quello della preparazione del Sangria, in cui non esisto mito. Forse Fellini voleva davvero, come sostiene Rondi, creare qui un nuovo personaggio grottesco, sacro sacerdote di una… bevanda. Ma, se è così, il suo gusto per lo spettacolo rituale lo ha tradito: qui nessuno ride, così come non si ride nell'elogio delle corrida: perché non è, di fatto, un rito dedicato al bere, o all'uccidere, ma, come appunto dichiara Josè - peccato che lo dichiari: era già troppo chiaro - , a se stesso, all'eleganza della sua forma.
La quale è squisitamente delicata, raffinata, tenue, di sogno dell'intelletto. Più tardi ritroveremo ancora J
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