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Cannibal Love - Mangiata viva

Regia di Claire Denis vedi scheda film

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La recensione su Cannibal Love - Mangiata viva

di lorebalda
9 stelle

 

L’amore a morte

 

Grandissimo film, da recuperare assolutamente, di una regista, Claire Denis, praticamente sconosciuta in Italia. Trouble Every Day è delicato e brutale, silenzioso e assordante. Le premesse sono horror: il risultato è una devastante storia d’amore e morte.

 

Film di genere? Horror? Film d’autore? No, niente di tutto questo. Lo spettatore in cerca di sicurezze si arrenda, perché Trouble Every Day di Claire Denis non può essere chiuso in facili definizioni: il film ha un altro ritmo, un’altra forza emotiva. Parla di amore e di morte, di desiderio e angoscia, spostando sempre il punto di vista, la prospettiva. Un film sorprendente, perché si insinua subito sotto pelle, e non ti lascia neanche dopo svariati giorni. 

Delicato e brutale, silenzioso e assordante. Notturno. La storia potrebbe sembrare banale, anche ridicola: ma la regia della Denis aggiunge qualcosa di nuovo, diverso. I corpi trasudano ambiguità e tensione, gli sguardi dei protagonisti (eccezionale Vincent Gallo) dicono tutto, e nulla. Un film di lancinante opacità, carnale e mentale. Potente, e inconsueto: innanzitutto figurativamente. Trouble Every Day è sicuramente un film molto curato esteticamente, e però non è immediatamente riconducibile a una qualche corrente cinematografica (non siamo dalle parte del cinema contemplativo, e anche l’etichetta di esponente della New French Extremity è un po’ semplificatoria). Non è chiuso, o rigidamente impostato: l’audace montaggio infatti vi ha un ruolo fondamentale. Perché si va su e giù, si sale e si scende, nell’ora e mezza del film: non si sta mai fermi. Ora seguiamo Vincent Gallo, ora Beatrice Dalle. Il flusso emozionale di questo straordinario film non conosce sosta: passano i minuti, e la tensione si accumula, sempre pronta ad esplodere. Tanto che anche i dettagli più insignificanti acquistano un’inquietante risonanza: il bianco delle lenzuola, gli sguardi svuotati e stanchi di fine giornata, un bacio appassionato, una carezza interrotta, una ferita su una spalla. E anche l’ultima mezz’ora, che ad una prima visione mi era sembrata la più debole, è in realtà fondamentale per radiografare l’insaziabile desiderio di carne e d’amore del protagonista, il suo precipitare negli abissi di una passione e una malattia divoranti, che non riesce più a controllare.

 

Ma che cosa racconta Trouble Every Day?

 

Shane Brown (Gallo), ricercatore per un’importante compagnia farmaceutica americana, è a Parigi con la moglie June (Vessey), in viaggio di nozze: ma l’uomo, afflitto da una misteriosa malattia, è in realtà alla ricerca del dottor Léo Sémeneau (Descas) e della moglie Coré (Beatrice Dalle), anche lei misteriosamente malata, e che aveva conosciuto precedentemente in Africa. A Parigi, Shane scopre che Sémeneau è stato isolato dalla comunità scientifica per le pericolose ricerche sugli effetti che alcune piante amazzoniche avrebbero sulla libido e sul cervello umano: che siano proprio questi esperimenti la causa della malattia che affligge sia Coré che Shane, e che si materializza in una orribile forma di cannibalismo erotico?

 

La trama, dunque, è horror. Ma la Denis è interessata ad altro. Ai rapporti di coppia, ad esempio. Alle pulsioni indicibili, ai desideri che coviamo dentro, e che non confessiamo neanche a noi stessi. L’amore come cannibalismo reciproco, vampirismo. Jouissance e senso di colpa. Per questo Trouble Every Day è un film di paura che però non vuole fare paura: la tensione è tutta interiorizzata. Anche le scene cannibalesche, difficilmente sostenibili (soprattutto per i gemiti di sofferenza della vittima), non vengono mai filmate frontalmente: piuttosto, con disorientante sensualità. Perché i corpi di questo film bruciano, letteralmente, posseggono una forza incandescente, inspiegabile, che respinge e attrae in egual misura: in Trouble Every Day, un amore insaziabile, senza nome, accende e corrobora la materia narrativa – una passione che non può essere consumata, una libido senza freni. Oltre le suggestioni horror, il film nasconde infatti un’altra trama, altri desideri, altri sentimenti. Un’inquietante sequenza onirica pone direttamente la domanda:

 

“Lei crede nella fedeltà, Mr. Brown? E nel tradimento? Qual'è la sua opinione a proposito del tradimento, Mr. Brown?” 

 

Eccola, l’altra trama di Trouble Every Day: ora che si è sposato, Shane già non desidera più sua moglie. La ama forse, ma non la desidera più. E fantastica di ritrovarsi con altre donne, di avere un’amante. Magari la giovane ragazza delle pulizie della loro stanza matrimoniale, che guarda con ambiguo interesse. Oppure Coré, la bellissima moglie di Sémeneau, che sogna ancora, immersa in un lago di sangue. E però questo desiderio, lo sa bene Shane, va represso: perché così vuole la società civile. La fedeltà. E perché, come ripete più e più volte, ama sua moglie. “Mi piaci June. Tu mi piaci davvero. Non ti farei mai del male”.

Dunque, di nuovo: che cosa racconta Trouble Every Day? Un amore impossibile, inattuabile? L’eterno conflitto fra istintualità e pensiero? Una nerissima depressione? Una febbre, forse: le atmosfere del film, inizialmente asettiche e grigie, freddissime, si fanno sempre più sudaticce, malate. I colori virano sul giallo, sul marrone. Alcuni flashback, ricordi, alcuni oggetti, ci portano addirittura in Africa: un altro continente, un’altra storia, altre emozioni. La pellicola prende fuoco: l’incontro tra Shane e Coré (“avrei voluto fossimo stati amanti”, confessa in sogno l’uomo) non risolve il rebus del desiderio. Difatti, il successivo amplesso con la moglie (sequenza magnifica) è ancora interrotto: l’uomo non è guarito. Desidera ancora.

 

Qui Trouble Every Day ha l’impennata decisiva. Lasciata la moglie a piangere in albergo, Shane vaga allucinato per una Parigi notturna, spettrale, mai vista così anonima, senza fascino. Ricomincia il gioco carnale della seduzione, degli sguardi desideranti: e la malattia prende crudelmente il sopravvento. In una sequenza molto dura, improvvisamente privata di qualsiasi sensualità, diretta, onestissima, Shane soddisfa la sua sete di sesso e sangue: e poi ritorna dalla moglie. Si fa una doccia, pulisce il sangue. “Come si sente, dottore?”. “Mi sento bene. Torniamo a casa”. Tutto ritorna alla normalità: finché il desiderio non prenderà di nuovo il sopravvento.

Trouble Every Day non si conclude, dunque, perché l’amore e il desiderio hanno forse un inizio, ma non hanno certo una fine. La tensione non si scioglie: l’ultima inquadratura suggerisce che qualcosa succederà. Che cosa? Non lo sapremo mai. D’altronde, non è questo che interessa la regista. A partire dal bellissimo titolo, infatti, la Denis vuole raccontare una normalità sull’orlo dell’abisso, una grigia quotidianità. L’amour à mort. Le tensioni invisibili, e che però dicono sempre qualcosa, anche quando restano mute. Le fragili sicurezze. La febbre che sale. E la paura del contagio. Un film cronenberghiano, dunque? Sicuramente. Ma, stilisticamente, Trouble Every Day è tutt’altro che chirurgico, non c’è la scienza metafisica del grandissimo regista canadese. La Denis è in questo più selvaggia, lega sensazioni che chiunque terrebbe ben lontane. Segue un ordine segreto e illogico: il fraseggio è liberissimo, intimamente poetico. Il sonoro, stratificato in funzione drammatica, è di una densità straordinaria. E così la materia narrativa, che s’accende e raffredda, e diventa ingestibile, impossibile da tenere a distanza. Si sente che la regista non è solo francese (nata a Parigi, è cresciuta e vissuta in Africa fino all'età di tredici anni), e che il film affonda le proprie radici in un humus culturale tutt’altro che pacificato o facilmente identificabile. Anche la scelta del soundtrack (Tindersticks) rompe con i tradizionali codici del cinema d’autore francese: musica fortemente connotata, dolce e sensuale, intensissima – paragonabile, per forza e funzionalità alla narrazione e al suo procedere, al pastoso commento musicale di Gato Barbieri per Ultimo Tango a Parigi di Bernardo Bertolucci.

Già questo dunque ci dice che la regista non vuole allontanare lo spettatore, disgustarlo: piuttosto, la Denis cerca un coinvolgimento emotivo assoluto, devastante.

 

Per questo Trouble Every Day è un grandissimo film, paragonabile forse soltanto a The Addiction di Abel Ferrara per come affronta e stravolge il tema del vampirismo. Un film che brucia.

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