Regia di Claire Denis vedi scheda film
Storia di un ufficiale della Legione straniera che racconta, attraverso le pagine un diario personale e segreto, degli ultimi giorni della sua vita militare nel Golfo di Gibuti, allorchè, non ostante la sincera stima del suo comandante e la sconfinata passione per il suo mestiere, cova un viscerale e irragionevole astio per una giovane e valorosa recluta che lo porterà ad una condotta sconsiderata e rovinosa e quindi al disonorevole congedo.
Partendo dal rigore formale di un elegante documentarismo e dalle suggestioni etnografiche di un' ambientazione esotica la regista francese redige il diario interiore di una confessione intima, la discesa agli inferi di una umanità derelitta (ai confini del mondo) e raminga nella perenne attesa di un nemico sconosciuto e invisibile, il fantasma angosciante di un vuoto interiore. Nella brulla asperità del deserto, tra i rituali ossessivi di una disciplina marziale, nella variopinta sensualità di bellissime meretrici dalle pelle d'ebano, si consuma la ineluttabile tragedia una meschina ostilità virile, il segno allarmante di un fallimento esistenziale, la sprezzante ostilita dell'uomo contro l'uomo che infrange un rigidissimo e antico codice d'onore e da cui emergono le incoffessabili pulsioni di una sotterranea attrazione fisica (una condizione di subalternità che ricorda l'insinuante ambiguità del 'Furyo' di Oshima più che la tragedia dell'onore del Billy Bud di Melville a cui dichiara di ispirarsi).
Affascinante e ipnotico, il 'Deserto dei Tartari' descritto dalla Denis rappresenta il confine sconosciuto di una remota modernita dove si replicano gli arcaici rituali di una cultura ancestrale (quella marziale) e la accattivante melodia di una passionale mondanità.
Tra gli stacchi suggestivi di campi lunghi e lunghissimi, la impietosa vicinanza dei primi piani e la programmatica esclusione del contro campo si suggerisce l'inesorabile smarrimento di una umanità multietnica e desolata, destinata a confrontarsi con i propri fantasmi e le proprie paure, in balia dei maestosi e sconfinati scenari di una natura ostile e incantata.
Film che sussurra attraverso l'incessante turbinio del vento e la desolata litania di un irrevocabile rimpianto, la dolente confessione di uno smarrimento interiore, la sconsolata recriminazione per l'effimera e capricciosa natura delle passioni umane, il dominio arbitrario e dispotico della irragionevole volontà che governa il mondo e l'agire umano, lo scorrere inesorabile del tempo verso la sillaba postrema di un irreversibile disfacimento.
La Denis coniuga con ineffabile sapienza la dimensione narrativa di una storia raccontata in prima persona dal suo antieroico protagonista con le violente suggestioni del paesaggio che si agitano come le onde di un mare in tempesta nel cuore di uomini adusi alla ferrea disciplina dei gesti e il sacro rispetto di vincoli d'onore, dove la trasgressione è punita con la morte o con l'esilio.
Questa dimensione simbolica del racconto è tuttavia priva di qualunque sottolineatura drammatica, figlia qual'è di una sotterranea indolenza, nel segno di un cinema al tempo stesso scabro e appassionante, lo stadio residuale di un'arte prosciugata dai codici riconoscibili di un linguaggio ordinario. Una nuova e avvicente frontiera del 'cinema verità'.
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