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Le chagrin e la pitié

Regia di Marcel Ophüls vedi scheda film

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La recensione su Le chagrin e la pitié

di hupp2000
10 stelle

A dispetto della sua notevole durata, si tratta di uno dei documentari più originali e appassionanti sulla Seconda Guerra Mondiale che abbia mai visto. Alternando immagini d’epoca ad interviste realizzate nel 1969, il film ricostruisce e ripercorre le vicissitudini della città di Clermont-Ferrand durante i circa cinque anni di occupazione nazista. Sotto lo sguardo critico dei loro figli e nipoti, genitori e nonni sono inevitabilmente chiamati a rispondere alla talvolta scomoda domanda : « E tu, nonno, o tu, papà, cosa hai fatto durante la guerra ? ». Si apre così un immenso archivio della vita quotidiana di quegli anni. Sfilano i ricordi di contadini e ferrovieri, di madri di famiglia e dei loro figli. Per rendere il tutto più comprensibile, il documentario allarga la prospettiva illustrando il contesto politico francese ed europeo in cui si svolge la vicenda. Splendido al riguardo l’uso dei film di propaganda nazista nei quali sono mostrati i benefici effetti dell’occupazione tedesca. Altrettanto eloquenti i notiziari francesi, tutti retoricamente inneggianti al Maréchal Pétain. Le testimonianze della gente qualunque si alternano a quelle di personaggi che in quegli anni ebbero ruoli assai significativi, come quel pilota della RAF costretto a ricordare i devastanti bombardamenti cui ha partecipato, o quell’ufficiale della wehrmacht ferito in Russia e trasferito a Clermont-Ferrand, che rivendica candidamente il suo patriottismo e la tristezza provata al momento della disfatta. Fondamentale e tutt’altro che scontata la parte in cui il film affronta il tema della Resistenza. Le reali motivazioni dei partigiani non sono sempre cristalline. Alcuni protagonisti ammettono di essere passati alla clandestinità per ragioni contingenti, quali entrare in contatto con le fonti di vettovagliamento, scomparire da luoghi in cui avevano conti in sospeso, sottrarsi alla miseria e alle sofferenze della vita quotidiana. Nell’insieme, la società francese non ne esce a testa molto alta. Prima delle svolte che annunceranno una possibile vittoria (entrata in guerra degli Stati Uniti, campagna di Russia e sbarco in Normandia), la gente comune appare in gran parte distratta e svogliata, osserva quasi indifferente gli eventi, sembra non parteggiare per alcuna delle parti in conflitto. Delusa dalla fiacchissima difesa del territorio nazionale, dalla rapidità con cui sono state sbriciolate le frontiere e dal fallimento dell’intervento dell’alleato inglese, l’opinione pubblica rispolvera antichi sentimenti anti-britannici e, al seguito del Maresciallo Pétain, risfodera il suo mai sopito antisemitismo. Si comprende allora perché, nel 1969, la programmazione del documentario in televisione venga annullata. Il film uscirà in un’unica sala parigina il 5 aprile 1971 e dovrà attendere ben dodici anni prima di trovare una collocazione sul piccolo schermo. Effettivamente, siamo in presenza di una svolta capitale nella percezione cinematografica della collaborazione, della Resistenza e dell’Occupazione. La retorica che aveva fin lì accompagnato ogni rievocazione del regime di Vichy viene spazzata via. Siamo negli anni immediatamente successivi al 1968, il gollismo ha subìto la sua ultima e più forte contestazione, lo stesso Generale si spegne nel 1970. Per alcuni, « Le chagrin et la pitié » è uno shock salutare e necessario, per altri si tratta di un’opera ignobile. Al di là di questa inevitabile polemica, il film apre la strada ad una nuova corrente letteraria e cinematografica, la cosiddetta « Moda rétro ». Una nuova mentalità è venuta ad urtare le coscienze e sono emersi nuovi interrogativi su cosa significasse essere un partigiano o un resistente, su cosa volesse dire collaborare con il nemico. Certo, lasciano un po’ di amaro in bocca le immagini di Danielle Darrieux circondata da uniformi tedesche in partenza per la Germania dove reciterà nel suo ultimo film, o ascoltare le giustificazioni di Maurice Chevalier, personalità di immenso successo, mai infastifdita dal regime. Un grande documentario, forse fastidioso, ma che rompe decisamente più di un tabù.

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