Regia di Georges Méliès vedi scheda film
Il cinema non nacque come un sogno, in sé non proponeva alcun tipo di alternativa al reale. Il Realismo, in Francia, era morto da pochissimi anni (se non ancora vivo), quando i Lumière accesero il lume del cinema, con i loro operai che uscivano dalle loro fabbriche. Simile intento autoreferenziale era anche un invito a vedere la nuova fantasiosa tecnologia che finalmente riproduceva il dinamismo che noi effettivamente vedevamo con i nostri occhi nella realtà di ogni giorno, attraverso però gli occhi di un altro. Il dinamismo di quelle immagini era vero, era lo sguardo analitico e sperimentale su una realtà proletaria. E' così che Uscita dalle fabbriche Lumière assomigliò a un sogno, ma non lo era. Lo era (è) soltanto se volessimo ipotizzare la nostra stessa realtà che osserviamo ogni giorno come un sogno, e questo dipende solo dai nostri soggettivi punti di vista. La cosa più importante è che il supposto sogno/realtà era il prodotto di un'innovazione tecnologica, del prodotto della scienza, che non si era mai vista talmente in simbiosi con il nostro sguardo, con la capacità di scuoterci anche sentimentalmente. Solo un'élite poteva commuoversi di fronte alla legge della gravitazione universale di Newton, e poteva la commozione essere sincera ma stroncata da anni e anni di pittura quando ci si metteva di fronte alla prima fotografia, che faceva da prototipo alla conquista artistica/scientifica del reale.
Così come il Realismo ottocentesco avrebbe influenzato i Lumière (che avrebbero però colto il lato ironico della faccenda con L'innaffiatore innaffiato e altre piccole gemme di ironia cinematografica), allo stesso modo si potrebbe pensare che Méliès, fautore dei primi veri Sogni cinematografici, film di fantascienza, fantasy ante litteram e romanzetti avventurosi, seguì il lato ottimistico e progressista che si riponeva nella scienza per esempio con l'affermarsi del Positivismo, quella fiducia nelle possibilità dell'uomo che cozzava necessariamente con i vari problemi che gli scienziati fantasiosi da lui messi in scena nel Viaggio attraverso l'impossibile effettivamente riscontrano qua e là nel tentare di costruire la loro astronave a partire da un treno per raggiungere lo Spazio Impossibile. Nei lunghi e movimentati piani-sequenza, oltre a dimostrare una sensibilità senza precedenti (e probabilmente senza neanche susseguenti fino ad ora) per l'immagine fissa e stabile, il regista francese sfonda i confini che la scienza ha fatto credere di avere nei riguardi del sentimento e della fantasia, facendoci aprire gli occhi come bambini di fronte alle fantasiose costruzioni filmiche che elabora, immagnifiche e coloratissime (e il colore era aggiunto direttamente sulla pellicola). Méliès rompe il pregiudizio nei confronti della scienza, dimostrando che il raggiungimento della parte conclusiva di un processo scientifico può coincidere con una corsa forsennata e assai emotiva verso il Lieto Fine, la scoperta dell'uomo, la sua capacità di superare i suoi limiti, perché se essi si possono superare evidentemente non erano veri limiti. E nonostante questa grande fiducia riposta nell'uomo (possibile soltanto agli albori dell'arte cinematografica) esploda nei movimenti dei singoli personaggi che abbelliscono i venti minuti del suo secondo film più importante dopo Il viaggio nella Luna, il regista non si pone mai superiore rispetto ad altri, non agisce per desiderio di grandezza e di onnipotenza, ma semplicemente per voglia di stupire e di contemplare i volti stravolti di un'umanità che potrà finalmente 'credere ai propri occhi'. D'altronde gli echi della seconda Rivoluzione Industriale sono fecondi in tutte le immagini di questo piccolo capolavoro, a partire dal treno trasformato in astronave fino alla catena di montaggio della fabbrica, che anticipa anche nei movimenti veloci e più ironici del solito l'ipercinetico Charlot in Tempi moderni. Per non parlare poi di immagini che i più grandi maestri della storia riprenderanno in ghiotte citazioni cinematografiche, a partire dal vomito del Sole, per esempio, ripreso nel primo corto del Cinema Disturbato e Assurdo di David Lynch in Six men getting sick.
Disinteressato alle identità dei singoli personaggi, che si disperdono nella folla rigenerante del sogno ad occhi aperti, Méliès dimostra che ancora prima degli Americani, con le loro asettiche navicelle spaziali, è stato lui ad arrivare nello Spazio, colorando la scienza di una speranza che presto celebrerà la sua stessa morte. Ancora oggi vedere un film di Georges Méliès è un'esperienza catartica, purificatrice.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta