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Giù la testa

Regia di Sergio Leone vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Giù la testa

di giansnow89
8 stelle

Tappa fondamentale nel percorso registico di Leone, che lo porterà al suo ultimo capolavoro.

Se comprendiamo tutto quanto il cinema di Sergio Leone con un'occhiata d'insieme, che ci consenta di vederlo come un corpus unitario e attraversato da una sua logica fondante, ne ricaviamo uno dei compendi più significativi sull'itinerario dell'uomo nel sentiero che conduce dall'anarchia alla civiltà. Leone nel corso della trilogia del dollaro muove i suoi primi passi in un west primitivo, che precede la nascita della civiltà: un mondo dove il vuoto di legge e di potere viene colmato da bande criminali che tengono saldamente in pugno i vari villaggi. Uomini senza nome, di dubbia moralità, volano come avvoltoi attorno alla carcassa di questa desolazione pre-civile, perseguendo per prima cosa i propri scopi, e poi, perché no, dando una mano alle genti del posto. Tuttavia, per privo di ordine che sia, questo mondo non manca di un'idea di giustizia, sia pur estremamente larvata ed incompiuta. Nel Buono, il brutto, il cattivo fa la sua comparsa il primo elemento di disturbo a questo bucolico quadretto: la guerra. Lo scontro fra individualità trasmuta in uno scontro fra popoli, propedeutico alla nascita della nazione. Il sangue scorre assurdamente a volontà, come mai sarebbe potuto scorrere anche nel più cruento dei regolamenti di conti da paese. Mai visto morire tanta gente e tanto male: Clint Eastwood è amaramente sospeso fra la propria natura di uomo solitario che crede nelle leggi - o nell'assenza di esse - della frontiera, e ciò che i suoi occhi vedono orrendamente dipanarsi. Il celeberrimo triello, che si svolge lontano dai cadaveri ammonticchiati uno sopra l'altro, dai moribondi che invocano un'ultima stilla di acqua, dai ponti saltati, suggella ancora una volta il trionfo dell'Uomo senza nome. Ma per quanto tempo, ancora? Oramai quella degli Uomini è una razza vecchia (Armonica in C'era una volta il west). Una stirpe gloriosa che va seccandosi e rapprendendosi a favore di una nuova schiera di politicanti ed affaristi senza spina dorsale, che però, per un beffardo contrappasso, costituiranno la spina dorsale dell'America. 

 

Giù la testa è il punto di approdo più naturale del disilluso pessimismo che aveva permeato i due precedenti lavori di Sergio Leone. Se la guerra civile nel Buono era la condizione ineludibile che anticipava la nascita della nazione, la rivoluzione, al contrario, è il segno tangibile del fallimento della struttura nazionale. I luoghi e le situazioni ci sembrano gli stessi di sempre, ma sono cambiati i protagonisti nel loro più intimo essere. I banditi privi di moralità ma pieni di grandezza e di coraggio, sono diventati ladruncoli da strapazzo; il mitico antieroe senza nome si è trasformato in un affaticato esule irlandese che abbraccia l'ideale rivoluzionario messicano quasi per inerzia, perché quello è il ruolo che gli è stato assegnato dalla vita e dalle circostanze. Negli occhi di Coburn abita una sofferenza infinita. Clint, per esempio possedeva l'innocenza dell'uomo ramingo senza radici, senza storia, senza obblighi verso nessuno; Coburn è un uomo che quell'innocenza l'ha corrotta e macchiata tastando le arbitrarietà della rivoluzione, sperimentando la malvagità del tradimento, guardando tante e tante volte morire tanta gente e tanto male. Si respira, acre, l'odore di zolfo del fallimento, che in Once upon a time in the West era ancora solo un alito di vento remoto. Ai personaggi di Giù la testa manca la gratificazione conclusiva, la pentola alla fine dell'arcobaleno, che nei lavori precedenti invece esisteva eccome, sotto le sembianze di un tesoro o di una vendetta liberatoria o di una semplice manciata di dollari. Questo film segna la definitiva uscita da quella dimensione favolistica e di sogno che era il vecchio west, dove i tesori non erano leggende, ma realtà, e se davvero li desideravi potevi andarteli a prendere. Qui persino la banca, oggetto della concupiscenza del ladro Juan, il Graal per qualunque pendaglio da forca della tradizione western, si trasforma in una banale prigione improvvisata di rivoluzionari. Juan diventa un eroe della rivoluzione liberando quei prigionieri, ma è una cosa che non desiderava affatto! Rivoluzione, rivoluzione, rivoluzione, un succedersi di morti e di tradimenti e di nuovi dittatori e di nuovi morti: una tragedia immane. Non era preferibile quel tempo dei villaggi abbandonati da Dio, nel quale ognuno pensava per sé, quando l'immoralità e la giustizia erano un fatto privato e non l'urgenza di un intero popolo, buona solo per finire sui libri di filosofia della storia?  

 

Sarà in C'era una volta in America che troveremo una nazione americana completamente formata, le ferite cauterizzate, le lotte intestine sopite. E sarà un po' come tornare alle origini, corsi e ricorsi storici, perché il gangsterismo non è altro che una prosecuzione della dialettica western con altri mezzi. La sconfitta dei protagonisti, quantunque più invisibile e più subdola, non sarà meno cocente che in Giù la testa. La società ingurgiterà Noodles e Max e ne farà dei grigi ingranaggi istituzionalizzati del Sistema. Max è configurabile come l'erede di Morton di C'era una volta il west, il mostro capitalistico-politico che Frank e Armonica avevano tentato in ogni modo di ridicolizzare e di esorcizzare; Noodles è un epigono di Sean di Giù la testa, un uomo che si è arreso davanti al tradimento e ha smesso di combattere per logoramento delle forze. La metamorfosì dell'universo leoniano e dei suoi personaggi è completata. Del Clint e del Volontè del primo film della mitica Trilogia del dollaro non è sopravvissuto nemmeno un brandello. 

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