Regia di Sergio Leone vedi scheda film
Forse Giù la testa (1971) è il film più anomalo di S. Leone, un western dilatato nei temi e che non si potrebbe dire nemmeno più tale, anche considerato il sottogenere tortilla. Già la citazione di Mao che dà il via alle scorribande è il segno di un impegno più mirato sul sociale e il politico; di conseguenza la scena (un po' troppo insistita ma memorabile) del peone Juan (ottimo Rod Steiger) che fa credere di essere un innocuo straccione, ignorante e stupidotto, davanti al gruppo in diligenza di aristocratici volgari e altezzosi che si ingozzano e lo offendono viscidamente, è la conferma di un disgusto verso le prevaricazioni imbellettate da vestiti e cariche pubbliche, che però sono talmente tronfi da non riuscire nemmeno a simulare minimamente, e non si tratta qui di onestà o dignità. Il montaggio e le inquadrature lo evidenziano in modo assolutamente esplicito e irreversibile, tanto da indurre lo spettatore a pensare che qualcosa dovrà per forza accadere. E infatti la vera identità di Juan sarà rivelata: un bandito rozzo sì, ma deciso e non monocorde, come si capirà nel corso degli eventi e grazie all'incontro col rivoluzionario Sean/John (eccellente J. Coburn), tormentato da un passato che lo ha maturato.
Leone mescola ancora le emozioni più diverse, anche se il picaresco, almeno in un primo momento, sembra prevalere in una versione più grottesca, tanto da arrivare quasi al comico in diversi momenti, anche quelli più drammatici e "seri", come la liberazione involontaria dei prigionieri politici a Mesa Verde. Questa, naturalmente, è scandita dalle musiche ironiche e ammiccanti di Ennio Morricone, ancora una volta in stato di grazia, con quei temi frammentati ma sapientemente intrecciati, con quei versi onomatopeici e persino la citazione chiara e ridicolizzata della Serenata Piccola musica notturna K 525 di W. A. Mozart. L'elemento ironico però è alternato da ampie zone malinconiche, tormenti dei ricordi che "lasciano spazio" al tempo, aprendo varchi introspettivi e allargando la forma del film, cosa che in certi casi dà anche un senso di blocco narrativo, ma certo non grave. Ancora una volta il commento musicale dispensa forti emozioni, nonostante ricorra spesso in modo insistito, comunicando concetti e sensazioni come solo esso è in grado di fare perché costituito della stessa "materia" dell'anima, e viene in aiuto nelle scene soffuse ma un po' stucchevoli dei ricordi amorosi al rallentatore, debolezze contrastate da altre sequenze spettacolari (ottimi effetti speciali di Antonio Margheriti) e di forte carica umana. 8
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