Espandi menu
cerca
Girolimoni, il mostro di Roma

Regia di Damiano Damiani vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Dany9007

Dany9007

Iscritto dal 15 giugno 2020 Vai al suo profilo
  • Seguaci 11
  • Post -
  • Recensioni 219
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Girolimoni, il mostro di Roma

di Dany9007
8 stelle

Nella Roma degli anni ’20, tra i quartieri popolari all’ombra della Cupola di S. Pietro la popolazione è pervasa dal terrore che presto lascai spazio all’isteria ed alla rabbia: un maniaco violenta ed uccide bambine. È presto definirlo “il mostro”. Per il regime fascista questa è una spina nel fianco, le promesse di sicurezza ed ordine devono essere onorate, per questo bisogna trovare un colpevole. Non necessariamente IL colpevole. Dopo una prima parte in cui il regista ci mostra sin dalle prime immagini i (vani) tentativi del regime di catturare questo maniaco che si traducono nel lasciare delle bambine giocare per strada, sorvegliandole a distanza, affinchè si possa individuare un adescatore. L’aggiunta di altri delitti porta però ad avere delle pressioni ormai costanti direttamente da Mussolini che esige un capro espiatorio e quindi di poter celebrare un significativo successo per il regime. Tuttavia i tentativi del regime di inchiestare derelitti, storpi o genericamente persone ai margini della società non portano a nessuna pista concreta. Dalla seconda parte del film entra in scena il triste protagonista della vicenda, il povero Gino Girolimoni: bell’uomo sulla quarantina, elegante, discretamente benestante (negli anni ’20 già aveva un’automobile, bene davvero di lusso per l’epoca), con un impiego di mediatore in casi di infortuni nei tribunali ed un paio di passioni: le fotografie e le belle donne. Quest’ultima passione fa scaturire una prima segnalazione alle autorità da parte del marito di una sua amante, il quale lo ha visto conversare con la sua giovane serva (in realtà utilizzata dai due amanti per scambiarsi messaggi) ma che inizialmente cade nel vuoto, proprio perchè l’età della serva è ben al di fuori degli standard di interesse del maniaco. La frenesia di individuare un colpevole, fa però di Girolimoni un imputato interessante e adatto a cucirgli addosso ogni colpa: testimoni inconsistenti lo riconoscono come sospetto (ingolositi innanzitutto da una significativa taglia che spetta a chi collabora alla cattura del mostro), la polizia e la stampa spingono su ogni possibile elemento che in qualche modo possa giustificare dei legami con le vittime: improvvisamente la sua auto viene considerata uno strumento perfetto per degli spostamenti rapidi per la città, una fotografia paesaggistica del Lungotevere da lui scattata, ritrae tra le cose il luogo di ritrovamento di uno dei cadaveri, dunque diviene una prova di premeditazione, la passione per gli abiti (e persino dei costumi) fanno di Girolimoni un astuto trasformista che utilizzava questi travestimenti per sviare indagini e quasi “cambiare identità”. A nulla valgono le rimostranze di alcuni funzionari (il commissario Parrini ispirato alla figura del commissario Dosi), il partito vuole un colpevole e Girolimoni viene sostanzialmente condannato per mezzo stampa davanti a tutta l’Italia. Il castello di accuse è destinato presto a crollare, anche di fronte ad una fermezza dell’imputato che non cede davanti ai metodi di interrogatorio tipici del fascismo. Essendo impossibile trattenerlo ulteriormente (nella realtà Girolimoni restò in carcere per ben 11 mesi), Girolimoni viene rilasciato nel più totale silenzio della stampa, sempre imposto dal regime. Insieme all’assenza di una qualunque riabilitazione, il nome di Girolimoni diviene sinonimo di maniaco, di omicida, di sconcezza. Il patrimonio di Girolimoni nel frattempo si è depauperato, il lavoro insieme ad esso, amici e conosenti ora fanno orecchie da mercante e non vogliono più aver a che fare con lui, così come il tentativo di cambiare nome non dura a lungo. Girolimoni viene ritratto anche come una persona dalla fortissima dignità: non accetta compromessi, non accetta, come suggerito da un giornalista, di far ricadere le sue colpe su un probabile prete pedofilo (ma che non poteva essere il vero colpevole dei delitti) in modo da sgravarsi del peso dell’accusa infamante, tantomeno è disposto a scendere a compromessi con il regime per farsi riabilitare in qualche modo. Arriviamo dunque agli inizi degli anni ’60 con un uomo ormai anziano, alcolizzato e che vive di elemosine che cerca disperatamente di spiegare la sua storia a dei passanti o a dei giornalisti che ormai lo reputano un po’ matto o, nel migliore dei casi, uno che ormai non fa più notizia. Ripercorrendo la trama del film si evince tutto il senso di ingiustizia e di oppressione che accompagna la vicenda. Assistiamo alla vita di un uomo distrutta pezzo per pezzo tanto dal fascismo, che emerge con tutta la sua ignoranza e brutalità, quanto dalla stampa, ormai asservita al regime e certo ingolosita da titoli tonitruanti sulle colpe dell’accusato, già dato per colpevole certo. Apro una parentesi, nel film vengono mostrate alcune didascalie proprio dei titoli dei giornali di allora: le foto di Girolimoni vengono pubblicate con i suoi abiti più diversi, viene appunto accusato di aver seguito il funerale di una delle vittime ed aver scattato una foto, addirittura viene accusato di una truffa, se non addirittura di un omicidio nel nord Italia, ecco quindi un’attenzione lucida e quasi da inchiesta su come quest’uomo sia stato esposto alla gogna pubblica quasi un secolo fa. Lo stile di Damiani nella narrazione della vicenda è appunto lucido e senza particolari fronzoli, anzi qualucno ha letto tanti riferimenti alle vicende di cronaca di inizio anni ’70 che vedevano polizia e potere politico conniventi nel perseguire piste palesemente inutili a discapito dei veri colpevoli nei casi di stragi (un caso per tutti, la strage di Piazza Fontana). La vicenda è indubbiamente arricchita da un’interpretazione straordinariamente coraggiosa di Manfredi, che si cala in questo personaggio tragico ma brillante (alcuni dialoghi appaiono fin troppo ben costruiti tra botta e risposta, ma era un marchio di fabbrica proprio del grande attore). Personalmente ho trovato curiosa, anche se registicamente e cinematograficamente azzeccatissima, la trovata di mostrare il vero colpevole nella figura di un giovane depravato (l’ottimo Gabriele Lavia) che, coperto dalla madre e dai famigliari riuscirà a sfuggire ai sospetti sebbene abbia mietuto tra le vittime persino alcune parenti. Onestamente questa pista non so se sia mai stata valutata o, più probabilmente, sia stato solo un espediente registico per dare un volto al mostro. Peraltro indimenticabile e disturbante la scena del primo delitto dove apprendiamo dal volto incupito e terrorizzato della neonata, l’orrore che sta per accadere. Infine mi sembra indispensabile spendere due parole sulla figura del commissario Dosi, nel film appena appena presente attraverso il personaggio dell’onesto commissario Parrini che, per la sua rettitudine nel voler valutare una pista alternativa (e storicamente anche oggi molto più accreditata, ossia il sospetto su un Sacerdote inglese), si vide cacciato dal proprio incarico e persino rinchiuso in un manicomio criminale per 17 mesi, vedendosi riabilitato solo dopo la caduta del fascismo. Quest’uomo fu uno dei pochissimi a partecipare ai funerali di Girolimoni nel 1961.

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati