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Il dio chiamato Dorian

Regia di Massimo Dallamano vedi scheda film

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La recensione su Il dio chiamato Dorian

di undying
8 stelle

Il quadro con ritratto il protagonista (Helmut Berger) invecchia gradualmente, man mano che Dorian si abbandona a degenerazioni sessuali sempre più audaci: non disdice ragazze, donne mature e financo un giovane di colore. Dallamano si spinge in un crescente clima malsano e tetro, i cui toni cupi suggellano la metamorfosi finale.

 

locandina

Il dio chiamato Dorian (1970): locandina

 

Londra. Giovane, bello e vanitoso, Dorian (Helmut Berger) ha anche il privilegio di appartenere all'alta borghesia, conducendo una vita priva di preoccupazioni e sacrifici. Stabilisce una tenera amicizia con Sybil (Marie Liljedahl), un'attrice teatrale con la quale presto finisce per fidanzarsi. Il rapporto procede nel migliore dei modi, sino a quando Dorian decide di posare come modello per un amico pittore, Basil (Richard Todd).

 

"Di solito non faccio ritratti. Questo è il primo e l'ho fatto solo perché il soggetto è di una bellezza eccezionale: una straordinaria combinazione di bellezza, sensualità e di innocenza."

(Basil)

 

Il ritratto, di una perfezione che non  passa inosservata, attira l'attenzione di un noto gallerista omosessuale, Henry (Herbert Lom). Dorian se ne appropria, impressionato da alcuni discorsi sulla vecchiaia e dall'idea che la perfezione estetica è destinata a mutare con il passare degli anni. Ossessionato dall'opera, spende ore e ore ad ammirare l'immagine di sé stesso. Per incanto, da quel preciso momento, il tempo sembra non avere più effetto sul fisico e sull'aspetto di Dorian che continua a restare invariato nonostante il passare degli anni mentre, al suo posto, il dipinto subisce una lenta e continua metamorfosi. Una metamorfosi che rispecchia, però, anche il progressivo decadimento morale di Dorian, dato che le mani del suo "doppio su tela" appaiono imbrattate di sangue. Mutato di carattere, in maniera improvvisa, compie azioni sempre più degradanti ad iniziare proprio con Sybil che, delusa da un tradimento e dal repentino cambiamento comportamentale del compagno, decide di togliersi la vita. Convinto di essere superiore ai suoi simili, che invecchiano con il trascorrere degli anni mentre lui resta perennemente giovane, si abbandona a crimini e degenerazioni sessuali progressivamente più spinte: arriva a compiere un delitto, frequenta nell'intimità donne sposate e mature, mogli dei suoi migliori amici e persino uomini: concede il suo corpo al gallerista Henry e s'accoppia con ragazzi incontrati occasionalmente.

 

"La cosa più triste della vecchiaia non è essere vecchi, ma restare giovani dentro. Non è dignitoso. È terribile. Osservare la decadenza del corpo... Si dovrebbe diventare vecchi e stupidi, sarebbe l'unica maniera per invecchiare senza capire nulla."

(Henry)

 

Helmut Berger, Richard Todd

Il dio chiamato Dorian (1970): Helmut Berger, Richard Todd

 

Una didascalia iniziale avverte: "Allegoria moderna basata su Il ritratto di Dorian Gray" (di Oscar Wilde), anche se in realtà Dallamano, assieme a Günter Ebert e Marcello Coscia, adatta in sceneggiatura la trama del racconto originale spingendosi sul versante scabroso a differenza, ad esempio, della più fedele e precisa ricostruzione cinematografica diretta da Albert Lewin nel 1945 (Il ritratto di Dorian Gray). Producono Harry Alan Towers e Samuel Z. Arkoff, tanto che il film vede la partecipazione di un cast composto da talenti in arrivo da differenti nazioni (oltre che dall'Italia, dal Regno Unito e dalla Germania). Benché il nome del britannico Alan Towers sia stato più spesso associato ad opere di scarsa qualità (cifr. la trilogia ispirata da Edgar Allan Poe, realizzata sul finire degli anni Ottanta, diretta da Alan Birkinshaw e Gérard Kikoïne), in questa circostanza la predominanza di maestranze tecniche tricolore (fotografia, musica, costumi), assieme a interpretazioni di alto livello, elevano l'opera sopra alla media standard del produttore.

 

Helmut Berger

Il dio chiamato Dorian (1970): Helmut Berger

 

Straordinariamente bello, almeno quanto inquieto e tormentato, Helmut Berger convince pienamente, forse perché a suo agio in un ruolo che sembra sentire proprio, al di là della finzione. Dallamano si trova, in via eccezionale, a gestire con buon risultato un cast internazionale, gira in maniera impeccabile, anticipando di essere - sin dagli esordi come regista - un talento sottovalutato. Riesce a trattare un tema malinconico a lui molto caro (circostanze drammatiche che confluiscono nella tragedia, prematuramente per i protagonisti) con una vena inizialmente poetica, quindi romantica, infine tragica, che va di pari passo con il "sempre attuale" argomento trattato: l'universale consapevolezza del tempo che fugge, della vita che scorre (troppo) velocemente, della precaria, breve e illusoria felicità che sfiora in maniera irrisoria, senza mai raggiungerlo pienamente, ogni individuo di questo mondo terreno.

 

Helmut Berger

Il dio chiamato Dorian (1970): Helmut Berger

 

Critica 

 

"Massimo Dallamano continua il suo personale percorso all'interno del cinema drammatico-erotico e, dopo Le malizie di Venere, dirige Il dio chiamato Dorian (1971). Il film è liberamente tratto da Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde e Dallamano può contare su un attore dalla bellezza crudele e sensuale come Helmut Berger, perfetto nel dare corpo e sguardo al vizioso dandy inventato da Wilde. Con Berger, figurano nel cast Herbert Lom e una pattuglia di belle attrici, Margaret Lee e Beryl Cunningham, Eleonora Rossi Drago e Isa Miranda. Scritto da Dallamano insieme a Marcello Coscia, Il dio chiamato Dorian è un'eccellente rilettura del classico di Wilde, scandito da toni sempre più cupi e morbosi. (...) Il film di Dallamano si apre in maniera suggestiva, con le mani insanguinate di Berger-Dorian in primo piano e il suo inquieto volto, trasfigurato dalla pazzia. Dorian, infatti, ossessionato dal culto della bellezza eterna e dell'immortalità, per prima cosa aveva eliminato l'autore del dipinto. Da qui, Dallamano va a ritroso nel tempo, raccontando le imprese erotiche e i crimini di Dorian Gray, per poi ritornare al fatale quadro che racchiude la sua anima. Dal canto suo, Helmut Berger appare come unica possibile maschera di Dorian, una sorta di angelo delle tenebre reso vivo da una recitazione vibrante e intensa. Il dio chiamato Dorian è costellato di momenti erotici, alcuni delicati, altri violenti, tutti però accomunati dalla medesima sensazione di malinconia, un'insopprimibile ansia di esistere per sempre nella bellezza e nella sensualità. Il regista racconta uno a uno i misfatti di Dorian Gray, evidenziando la solitudine e l'emarginazione di un uomo diverso dagli altri, anche all'interno del suo stesso raffinato ambiente. Il cerchio, quindi, si chiude e la macchina da presa inquadra Berger-Dorian, solo davanti al suo quadro-anima. I fantasmi del passato, il ricordo dell'amore infranto in nome del male e della corruzione, arrivano per distruggere il sogno di un angelo caduto."

(Antonio Bruschini e Antonio Tentori) [1]

 

Helmut Berger

Il dio chiamato Dorian (1970): Helmut Berger

 

Citazioni

 

Dialogo tra Dorian e l'amico Alan (Renato Romano).

 

Dorian: "Pensi che il mondo visibile possa essere influenzato da quello invisibile?"

 

Alan: "Vuoi dire il mondo materiale da quello che si soleva chiamare spirituale?"

 

Dorian: "Sì. Tu credi possibile che un oggetto, un oggetto qualsiasi, possa cambiare... e che questo cambiamento sia determinato da buone o cattive azioni?"

 

Alan: "Ma succede continuamente, non ti pare? Voglio dire che ogni azione provoca una reazione. La composizione di ogni organismo è influenzata dal suo modo di vivere..."

 

 

"Le cose che un tempo avevano importanza, improvvisamente perdono di significato..."

(Dorian)

 

"Che cos'è il vizio? Solo piacere senza vergogna..."

(Henry cita Oscar Wilde)

 

"A chi interessano le qualità che abbiamo dentro? La bellezza è quella che si vede..."

(Dorian)

 

"Lying on the floor was a dead man with a knife in his heart. He was withered, wrinkled and loathsome of visage. It was not till they had examined the ring that they recognised who it was.

 

Sdraiato sul pavimento c'era un uomo morto con un coltello nel cuore. Era avvizzito, rugoso e disgustoso in viso. Fu solo dopo aver esaminato l'anello, che riconobbero chi fosse."

(Didascalia iniziale a firma Oscar Wilde)

 

Marie Liljedahl, Helmut Berger

Il dio chiamato Dorian (1970): Marie Liljedahl, Helmut Berger

 

Visto censura [2]

 

Il 4 agosto 1970, Il dio chiamato Dorian ottiene nulla osta n. 56499. Dal verbale allegato al visto censura:

 

"(La Commissione) esprime parere favorevole alla proiezione in pubblico e all'esportazione con divieto di visione per i minori degli anni 18, per la tematica generale del film stesso e per alcune scene scabrose, il tutto ritenuto controindicato alla particolare sensibilità dell'età evolutiva dei predetti minori."

 

Metri di pellicola accertati: 2995 (109'15" a 24 fps).

 

 

NOTE

 

[1] "Malizie perverse - Il cinema erotico italiano" (Granata press), pag. 119 - 120.

 

[2] Dal sito "Italia Taglia".

 

scena

Il dio chiamato Dorian (1970): scena

 

"Il tempo credo lo si possa capire solo per il fatto che tutto, tutto cambia, tutto invecchia. Si nasce, si muore. Gli esseri viventi, gli oggetti se sono nuovi, poi diventano vecchi. Anche le pietre, anche la nostra terra, nel corso dei 4 miliardi e mezzo d'età è mutata grandemente. Quindi il tempo lo possiamo definire solo grazie al fatto che tutto cambia."

(Margherita Hack)

 

F.P. 17/04/2023 - Versione visionata in lingua italiana (durata: 101'19")

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