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Dick e Jane. Operazione furto

Regia di Dean Parisot vedi scheda film

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La recensione su Dick e Jane. Operazione furto

di champagne1
5 stelle

Dick Harper viene "inspiegabilmente" promosso vice-Presidente della sua Azienda proprio poco prima del suo fallimento. La perdita del posto di lavoro e di tutti i benefit ad esso connessi trasformano le sue condizioni economiche da buone a insufficienti e lo espongono alla perdita dei suoi averi oltre che alla commiserazione dell gente che lo circonda.

A questo punto Dick e sua moglie hanno un solo modo per cercare di rimettersi in carreggiata ...

 

 

Sì, d'accordo: è una commedia graziosa, apparentemente senza pretese; eppure - chissà quanto volontariamente - il soggetto descrive esattamente la metafora della società capitalistica, in cui il benessere si misura con le cose possedute (dal modello dell'auto fino alla piscina nel giardino), in cui la perdita del lavoro - soprattutto dopo i 40 e 50 anni -  crea enormi problemi di reinserimento, in cui quando un'Azienda fallisce a pagare sono quasi sempre gli operai e i dipendenti anziché i proprietari.

 

Sappiamo perfettamente che nelle fasi di cosiddetta "crisi" (gli anni 70/80 con la crisi del petrolio; gli anni '90 con le bolle speculative della new economy, il 2008 con la crisi delle banche) i grandi ricchi restano sempre ricchi, mentre chi si impoverisce è fondamentalmente il ceto medio, qui rappresentati dalla famigliola di Dick e la moglie Jane.

E altrettanto "illuminante" è l'altro aspetto della faccenda, il più importante di tutti: quando c'è crisi, la rabbia e la disperazione della gente comune spinge le persone a diventare più cattive proprio nei confronti di coloro che magari hanno subito il medesimo trattamento e sono in condizioni di altrettanta difficoltà."Vuolsi così là dove si puote ciò che si vuole": i gestori del Capitale sanno benissimo che l'unico modo per sopravvivere di fronte alla più che evidente iniquità del loro agire è spingere "i poveri" a farsi guerra fra di loro. Solo attizzando un conflitto fra i nuovi e vecchi poveri (disoccupati contro occupati, contratti a tempo determinato contro quelli a tempo determinato, immigrati di terza generazione contro quelli appena sbarcati, e così via), il Capitalismo può sperare che a nessuno venga in mente di rivolgere lo sdegno e la rabbia verso i veri responsabili del malessere.

 

Per cui il messaggio veicolato da Dick e Jane, interpretati magistralmente da Jim Carrey e Thea Leoni, potrebbe risultare addirittura più penetrante di qualunque pamphlet di Michael Moore (compreso il suo documentario del 2009: Capitalism: A Love Story), perché il pubblico li guarda con meno pregiudizi rispetto a quanto farebbe rispetto ai lavori del Regista del Michigan.

 

Epperò ecco che tutto quanto premesso in partenza cade nel finale "cerchiobottista" che gli sceneggiatori, Apatow e Stoller, ci propongono: un finale  in cui tutto si aggiusta alla "volemese bene!", riconfermando che la cultura americana non ha nessun interesse ad auto-emendarsi soprattutto in termini di presa di coscienza collettiva, mentre benedice unicamente l'iniziativa privata, anche quando moralmente discutibile.

 

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