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Munich

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su Munich

di OGM
4 stelle

Deponendo per un attimo gli occhiali col filtro, che abbelliscono qualsiasi opera sia animata da buone intenzioni, ci si renderà conto di trovarsi di fronte al solito, classico, film mediocre. Davvero sconsolante è tutta la prima parte: una regia ispida e stizzosa ci conduce attraverso una successione di omicidi ingegnosamente programmati e freddamente eseguiti, i cui effetti devastanti sono sottolineati da accorgimenti scenici degni di un horror o di un action movie di serie B. La sceneggiatura, primitiva e del tutto priva di spessore drammatico, è a tratti velata da accenti ironici scontati, che sconfinano in un cinismo fastidioso e volgare.  Anche la tentata imitazione dell'atmosfera del noir anni settanta risulta artificiosa ed incapace di produrre qualsivoglia suggestione. Ogni incisività si perde nelle lungaggini di una cronaca spionistica e paramilitare, e a nulla serve cercare di recuperarla in singoli momenti segnati dall'enfasi retorica, in cui il sentimento di un popolo viene ridotto a ben noti slogan. La grande assente, in questo film, è proprio l'umanità: il ricordo doloroso è sostituito dal bilancio dei morti, e l'odio da una posizione politica estremista.
Ben poco si salva, in questo "Munich", che sembra l'equivalente cinematografico di un manuale a fumetti sulle tecniche operative del Mossad, con qualche imbarazzante azzardo di riflessione esistenziale ("Siamo uomini tragici. Mani da macellaio, cuore gentile"), o, peggio, storica ("Tutti voi tedeschi siete troppo teneri con Israele... vi sentite in colpa per Hitler. Gli ebrei quella colpa la sfruttano. Mio padre non ha ucciso nessun ebreo col gas").  
Questo film appare ingabbiato, più che nelle viscerali ossessioni di Spielberg, nelle sue costruzioni mentali a freddo: gli eventi vengono incanalati secondo le diramazioni di un impianto teorico, che si sovrappone alla storia come un vetro smerigliato. Spielberg non dipinge qui il mondo come lui lo vede,  bensì nel modo criptico in cui lo pensa, senza però fornircene la chiave di accesso.
Sul piano strettamente tecnico, il suo errore sta forse nell'aver confuso il realismo crudo con l'appiattimento narrativo, che qui è talmente spinto da infrangere la soglia dell'arte e sfondare nel luogo comune, con qualche incursione nel ridicolo (come l'accostamento tra la rievocazione della strage e il primo piano sul coltello che affetta le zucchine). Spielberg è un regista di kolossal, un sontuoso cantore di grandi storie e spettacolari eventi; stavolta, per raccontare lo squallore, ha forse creduto di dover realizzare un film dal tono squallido.  Da questo infelice esperimento è sortita un'opera senz'anima né genio; e l'impressione che se ne ricava, dall'inizio alla fine, è quella di un tema scottante e delicato avvolto in un cartoccio di banalità.  Le due stelle, in questo caso, sono l'abissale divario che separa ciò che il film voleva dire da ciò il film che effettivamente dice.

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