Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
C’è un passo del Vangelo che recita: “Vi riconosceranno dallo spezzare il pane”: non c’è commento più azzeccato per commentare uno dei più bei film in programmazione nelle sale italiane. Munich, il nuovo capolavoro di Steven Spielberg, oltre ad essere una lezione di cinema (specie quello degli anni Settanta) è una lezione di pacifismo, di quello che attraversa essenzialmente il cammino che passa dall’odio, lo percorre fino alla fine, per poi giungere al sacrificio della Pace.
I cieli di Munich si tingono tutti di rosso sangue, allo stesso modo del candore del latte che si fa vermiglio: metafora del candore della pace, intriso del rosso sangue della barbarie umana.
Ispirato al libro “Vengeance”, del canadese Gorge Jonas (ma lo sceneggiatore premio Pulitzer, Tony Kushner, ha riscritto tutta la trama), Munich, ha come pretesto per il racconto la tragedia (“Settembre nero”), avvenuta a Monaco nel 1972, dove un commando di terroristi palestinesi prende in ostaggio la squadra israeliana presente ai Giochi Olimpici. Gli occhi del mondo sono puntati su questa tragedia (900 milioni di persone in tutto il mondo seguirono la vicenda), che si compie fino in fondo. Infatti, tutti gli ostaggi moriranno in un conflitto a fuoco. Intanto il governo israeliano decide che non è possibile assistere al massacro di suoi cittadini inermi, per di più nel contesto pacifico, e del dialogo tra i popoli, delle Olimpiadi. Golda Meir, Primo Ministro di Gerusalemme, ordina così ai vertici militari e dell’intelligence di dare avvio all’operazione “Ira di Dio”. Una squadra di agenti del Mossad dovrà eliminare uno a uno tutti i palestinesi che hanno contribuito ad organizzare la tragica azione di Settembre Nero. Avner (interpretato ottimamente da Eric Bana) sarà il capo di questo gruppo di fuoco, ma dal giorno in cui accetterà questo incarico la sua vita non sarà più la stessa.
Munich non è affatto un film celebrativo della potenza di Israele e della celeberrima abilità degli agenti del Mossad. Insieme all’altr’opera angosciosa di Spielberg, Schindler’s List (anche se, a differenza di questo, in Munich non ci sono eroi) è una riflessione, molto meditata nella mente e nel cuore del regista, sull’identità ebraica contemporanea e sulla sua “israelianità”, un concetto lontano mille miglia dalla migliore mente di politologo, uno dei tanti che affolla l’etere. E’ un film sul conflitto eterno e assolutamente contemporaneo tra vendetta e giustizia, sull’etica e l’autodifesa, sullo dilagante e pericolosissimo antisemitismo, che come uno spettro avanza, nonostante i continui ricordi, anche ufficiali, della Shoah.
Questa nuova creatura di Spielberg viaggia sulla stessa strada degli ultimi sui film, tutti portatori di una lucida riflessione sugli Stati Uniti e sul mondo di oggi. Un percorso iniziato con Minority Report, continuata poi con Prova a prendermi e proseguita con The Terminal e La guerra dei mondi, ma che con Munich raggiunge l’apice.
A partire dalla regia: sontuosa, dotata di un grande respiro espressivo, ma mai esaltata o tronfia. Si avverte in ogni inquadratura una sorta di dolore acuto e nascosto, un’inquietudine interiore, capace di accomunare ogni personaggio del film nella fragilità. Di contro, impressiona l’incalzante ritmo della narrazione, considerata la durata di quasi 2 ore e 45. Rifuggendo da ogni retorica, il regista (ebreo, lo ricordiamo) è stato capace di scontentare tutti, almeno per quanto concerne il contenuto politico del film: ha scontentato Israele, ha scontentato arabi e palestinesi, ha scontentato gli Stati Uniti, che vi hanno giustamente letto una durissima accusa alla loro politica estera, di ieri e (soprattutto) di oggi.
Con lo sguardo lucido ma pessimista Spielberg, il credente e ‘buonista’, l’ebreo di Cincinnati, ‘sta volta non ci crede più alla forzatura della pace ipocrita sulla questione israelo-palestinese, ne va di conseguenza la sua riflessione a proposito delle responsabilità degli Stati Uniti, quelle di ieri e di oggi nell’ambito della la loro pedissequa politica estera: il film si apre mostrando atleti americani che, seppur ignari, aiutano i terroristi di Settembre Nero ad entrare nel Villaggio Olimpico di Monaco; si racconta della presenza/assenza della CIA in precisi momenti della narrazione; il finale del film è sintomatico, per la discussione tra il disilluso Avner ed il convinto sionista Ephraim (uno dei capi del Mossad che cerca di riportare Avner in servizio) che ha come sfondo lo skyline di Manhattan, con in mostra il palazzo di vetro dell’Onu e le Torri Gemelle.
In cotanta passione per la Storia, quella con la “S” maiuscola, Spielberg ha anche modo di ricordarci il suo amore per il cinema che ancora oggi fa la storia: sarà un caso se la scena in cui Avner e Louis camminano nel mercato di frutta e verdura parigino è stata girata sotto il famoso appartamento di Ultimo tango a Parigi?
Giancarlo Visitilli
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