Regia di Joe Wright vedi scheda film
La visione di Pride and Prejudice di Joe Wright di recente, dopo numerosi avvenimenti che hanno influenzato la storia delle singole attrici più giovani e del regista, non può far mettere da parte simili considerazioni. Joe Wright, regista anche del buon Espiazione (2007), ha sempre cercato di ricalcare i propri romanzi nella maniera più fedele possibile, rischiando però, spesso, la freddezza illustrativa. In Anna Karenina, consapevole di questo, ha tentato di riebolarare la trama, sebbene rovinandola miseramente, riducendo il grandioso romanzo di Tolstoj in un'insignificante storia d'amore in cui, oltre a non avere il coraggio di esplorare più a fondo la storia di Lenin e Kitty, aveva circondato la storia di Anna e Vronskij di un'atmosfera melensa e ripetitiva, e aveva ben oltrepassato i limiti accettabili del patinato nelle sequenze metateatrali. Ritornando indietro a Pride and Prejudice, primo lavoro per il grande schermo, ci si rende conto che, nonostante la mancanza di un vero e proprio stile, Wright è un maestro del cinema inoffensivo. Utilizzando Keira Knightley nelle sue più profonde risorse (oltre che bellezza, discreta bravura in parti non necessariamente tanto approfondite), ricrea il romanzo di Jane Austen abolendo la satira anti-sociale del romanzo a favore di schieramenti apparentemente grossolani (alcuni personaggi decisamente antagonisti, come Judi Dench, altri dannatamente buoni, come Rosamund Pike), ma che in realtà celano la profonda volubilità dei singoli caratteri, che nonostante tutto Wright riesce a riprodurre senza affondare nel romanzo rosa (prese di coscienze, cambiamenti di idea, debolezze, a volte la crudeltà dell'uomo, a volte la superficialità della donna). La regia, che si destreggia bene nei salotti borghesi e aristocratici, non restituisce il fascino di un romanzo dal gusto prettamente ottocentesco, non coglie il ruolo fondamentale di una storia tanto realistica in un'Europa incantata dal sentimento passionale, ma intrattiene discretamente, anche se mettendo troppi strati fra lo spettatore e il film: se da un lato la vivacità psicologica dei due protagonisti, come di tutti i personaggi secondari, è scolasticamente riprodotta, il film nel complesso si rende dimenticabile, privo di stoccate visive particolarmente eclatanti, né arricchito da una colonna sonora trascurabile. Il risultato è discreto, gode di una gran bella confezione, ma avrebbe meritato forse più ironia, o forse la sottolineatura di certi aspetti (è indubbia la capacità narrativa del successivo Espiazione, anche se lì la storia è assai più potente), in maniera anche da battere in qualità Sense and Sensibility di Ang Lee, di dieci anni prima, decisamente più riuscito, e con immagini che restano, per misteriosi motivi, più impresse. "Buona" ordinaria amministrazione. Occhio alla deliziosa Carey Mulligan: in Shame ancora di più che nel seppur buono Grande Gatsby, sarà una scoperta di grande valore.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta