Regia di Shohei Imamura vedi scheda film
L’”entomologo” Shohei Imamura, più che un inventore di storie, è un attento osservatore dei comportamenti umani, soprattutto quelli sessuali: questi ultimi sono quelli socialmente più rilevanti, poiché sono essi a definire la condizione della donna, sia nel Giappone feudale, sia in quello “americanizzato” del dopoguerra. La vita della protagonista Tome, nata nel 1918 da una madre sposata pro forma ad un falegname che ben presto diventerà il suo amante, delinea il quadro di un’emancipazione femminile che, anziché scegliere la strada dell’aperta ribellione, della rottura, dell’esplicito rifiuto della sottomissione, asseconda furbescamente le aspettative maschili, amministrandole, però, a proprio vantaggio. Questo è il principio che guida Tome nel suo percorso da povera bambina abusata ad autoritaria imprenditrice della prostituzione, nonché compagna di un ricco commerciante. Le sue esperienze di ragazzina “venduta” ad un latifondista, di operaia in fabbrica, di domestica, di geisha, le hanno insegnato come dominare e sfruttare il prossimo, come guadagnare senza lavorare. Per questo non vede di buon occhio la prospettiva che la figlia Nobuko, per seguire la tradizione di famiglia, abbandoni gli studi e si dedichi all’agricoltura, rinunciando, così, alla possibilità di un buon matrimonio con un uomo di città. Per lei vincere significa, infatti, diventare, da serva, padrona, arrivando a tenere in mano le briglie delle vite altrui. Solo alla fine si renderà conto di quanto sia labile questo tipo di vittoria, che la espone all’invidia, al rancore e quindi al tradimento e alla conseguente rovina. Le disavventure in cui incorreranno lei e Nobuko dimostreranno la profonda ingiustizia insita in tutti i sistemi il cui funzionamento è basato sulla disuguaglianza tra gli uomini, sul predominio dei forti sui deboli, che impegna tutti gli individui in una perenne lotta, quasi sempre impari, di fronte alla quale, in mancanza di un cambiamento radicale, la fuga è l’unica vera soluzione.
Questo film è un racconto moderno, che abbraccia più di quarant’anni di storia giapponese, con un amore per il singolo istante che fa perdere di vista il senso dell’insieme: certo intenzionalmente, per prevenire, nello spettatore, la formazione di un giudizio complessivo, o per allontanare, dall’autore, il sospetto di aver creato una storia con una morale preordinata, tesa a presentare una teoria articolata in forma narrativa. L’aderenza al presente è l’unico criterio seguito passo passo da una regia che fa della disomogeneità di stile il tratto distintivo della propria imparzialità da cronista, che non esprime preferenze per nessuna epoca, né manifesta particolari simpatie per alcun personaggio. Al contrario, Imamura cerca di indirizzare in ugual misura, verso tutti i protagonisti e tutte le epoche, il suo sforzo di mantenere la neutralità, al fine di comprendere le ragioni. Questo approccio improntato ad un rigoroso realismo, pur essendo fortemente innovatore, ben si accorda con lo spirito di un’antica saggezza: una saggezza che, di tanto in tanto, fa fermare la pellicola per rievocare – a sostegno dell’idea di un uomo “insetto” fondamentalmente fragile e indifeso - frasi che suonano come brani di adagi e di canzoni popolari: “Se non dormi, i topi ti calpesteranno; se resti sveglio, gli uccelli rapaci voleranno via con te.”
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