Regia di Nicholas Ray vedi scheda film
Ecco la perfetta dimostrazione che un film di culto non è necessariamente un grande film. Il problema è tutto nel titolo originale, o meglio nella sua incoerenza: i personaggi sono sì privi di motivazioni, nel senso che agiscono spinti solo dalla noia (“Perché facciamo questo?” “Per vincere la monotonia”, si dicono prima della corsa del coniglio: si può essere più chiari di così?), ma non si possono affatto definire ribelli. Ribelli a chi, a cosa? Nella prima parte c’è qualche cenno di insofferenza (non parlerei di aperta ribellione) verso genitori autoritari ma privi di autorevolezza; poi però tutto affoga in un finale conciliante, dove le intemperanze passate vengono riassorbite nell’alveo familiare (il presunto ex ribelle presenta la nuova fidanzata ai genitori, come un borghesuccio qualunque). E allora chi sono, ridotti all’osso, i tre protagonisti? un ragazzotto ricco e un po’ scimunito, uno psicolabile col vizietto di maneggiare armi da fuoco, una scioccherella che flirta col primo venuto mentre il cadavere del suo ragazzo è ancora caldo. Il maledettismo è solo una posa da operetta. Se ci si accontenta, ci si può godere lo spettacolo di un Mito in azione (l’unico motivo per cui posso arrivare a dare la sufficienza); ma per vedere una vera rivoluzione dalle parti di Hollywood bisognerà aspettare che, più di dieci anni dopo, Benjamin Braddock decida cosa fare da grande.
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