Regia di Nicholas Ray vedi scheda film
Come si crea un mito? La ricetta non esiste, anche se molti press agent potrebbero venirci in aiuto. Come si fa a rendere il titolo di un film un modo di dire e un attore un’icona? Chissà, ma di certo una buona dose di lavoro lo fa il destino cinico e baro. Sta di fatto che Gioventù bruciata (titolo originale Rebel Without A Cause) è uno dei film simbolo del suo tempo per una manciata di ragioni.
Fu uno dei primi film a rivolgersi direttamente al proprio pubblico di riferimento (adolescente o giù di lì) senza stereotipi o luoghi comuni, riuscendo nell’impresa di parlare una lingua comprensibile anche ad uno spettatore più adulto (che non difficilmente può riconoscersi nei preoccupati genitori del protagonista), raccontando una storia di ordinaria violenza adolescenziale in cui un ribelle senza motivo (ma più che altro un ragazzo in preda all’incomunicabilità verso il mondo) viene preso di mira dalla principale manda di malviventi coetanei della città.
La storia intreccia rivalsa ed amore, indifferenza e morte senza nemmeno un briciolo di retorica: Nicholas Ray preferisce uno stile secco e con vago sapore melodrammatico, diventando d’improvviso un modello per tutti coloro che si inoltreranno nei territori del romanzo di formazione giovanile brutale analogo al suo film più celebre. Inizialmente sarebbe dovuto essere in bianco e nero, ma il colore permette alla pellicola di assumere un calore e una passionalità decisamente più indicati.
Inutile dire che Gioventù bruciata è sinonimo di James Dean, del suo fascino senza tempo, del suo magnetismo malinconico, della sua sfrontata tensione: un mito, appunto, ancor’oggi sentito. Ma non si può tacere sulle due performance degli sfortunatissimi Natalie Wood e di Sal Mineo, primo attore ad Hollywood candidato all’Oscar per una parte vagamente omosessuale (ma pure qua, tra figure paterne mancate e repressione sessuale, si può andar avanti per ore). Quel che si dice un film seminale.
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