Regia di Mauro Bolognini vedi scheda film
Pezzotta e Bocchi, nel “Castoro” dedicato a Bolognini, sostengono che «Giovani mariti è la naturale evoluzione di Gli innamorati», ma è inevitabile pensare, per vari motivi – non ultimo la presenza di Franco Interlenghi nel ruolo del protagonista narratore -, ai Vitelloni. Certo, ci si può sbizzarrire a trovare le differenze tra il film di Bolognini e quello di Fellini: molto più smaliziati, cinici, perfino più consapevoli della loro condizione di provinciali, e molto meno sognatori questi Giovani mariti rispetto ai Vitelloni felliniani. Oltre a ciò, Bolognini e il cosceneggiatore Pasolini – ai quali è imputabile la versione definitiva del copione, che risente di molteplici contributi – mettono in evidenza una dose veramente notevole di misoginia, espressa specialmente nei personaggi di Donatella, Laura e Ornella, anche se va detto che nemmeno i cinque protagonisti maschili sono messi su un piedistallo: Ettore il bello (Cifariello) sposa per soldi («sposo un miliardo!» ammette) l’avvenente forestiera (Koscina) di nobile casato, mentre quattro dei cinque amici si recano al bordello, sebbene siano sposati o fidanzati, si rubano il lavoro e, con la scusa di salvare i compagni dal matrimonio, ci provano anche con le altrui fidanzate. Alcuni dialoghi, probabilmente, anche qui, su impulso pasoliniano, sono fin troppo letterari (si sprecano citazioni di Dante, Baudelaire ecc.), mentre il ritorno finale sugli stessi luoghi dell’inizio, il cui cambiamento diventa indizio della fine della gioventù, rimandano perfino ai Dolori del giovane Werther. Buono ed inconsueto.
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