Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
Uno Spellbound al contrario (un uomo “salverà” una donna), senza derive psicanalitiche, tinto con i toni del più classico melodramma, pregno di una problematicità morale che fa dei suoi protagonisti un insieme di sgradevoli o vittimistici caratteri riuscitissimi e ben architettati da una mano registica, quella di Hitchcock, che prima si nasconde e poi si lancia nei consueti picchi di tensione insostenibile. Under Capricorn combina i toni ironici/crudeli abituali nella filmografia hitchcockiana con una maturità espressiva che si riconoscerà propria del grande regista inglese in alcuni capolavori successivi, tanto che questo film del 1949 diviene quasi una chiave di volta, o di lettura se meglio si crede, del genio hitchockiano e della sua evoluzione in termini anche estetici. Insieme a Rope, Under Capricorn indaga le potenzialità del pianosequenza, stavolta però senza l’ostentazione del virtuosismo (nel film con James Stewart non certo fine a se stesso, ma funzionale alla creazione di un’atmosfera di asfissiante attesa), ma con la quieta presentazione di una storia complessa e avvincente che ha i suoi cardini fondamentali in un personaggio ambiguo, notevolmente interpretato da una Ingrid Bergman in stato di grazia. Non è certo il primo personaggio femminile misterioso della filmografia di Hitchcock (volendo li si ritrova anche in Notorious o nell’Alida Valli del Caso Paradine), ma è sicuramente il più sgraziato, disturbante, soprattutto all’inizio nella sua apparizione in scena.
L’ingresso della Bergman durante la cena è un momento di rottura. Mentre con scherzoso sadismo Hitchcock ha accumulato una tensione sotterranea legata alle maldicenze che si sentono in giro per la città di Sidney sulla casa dei Flusky e al fatto che nessuno degli invitati porta la consorte, finalmente vediamo con i nostri occhi la disagiante figura ubriaca/stordita di Henrietta Flusky, Considine da nubile, giungere alle spalle del marito, Joseph Cotten, ex-galeotto arricchitosi nelle floride terre australiane (tanto da accumulare quanti più possedimenti gli è stato possibile). Lo stendersi della trama gode (ancora una volta, come di consueto in Hitchcock) del più fluido dei modi, evitando la strada del flashback ma rievocando ricordi (belli e brutti, con grande gioco di antitesi) solo con lo strumento della parola. I monologhi e i dialoghi non fanno mai calare la tensione, e offrono anche uno spaccato lucido su una società classista in cui i più “deboli” si ribellano nel più terribile dei modi (straordinario il twist che coinvolge un personaggio spesso presente).
È proprio con l’avanzare dei minuti che il film diventa sempre più evidentemente hitchcockiano. Evitando uno sguardo patinato che poteva addirsi alla ricostruzione storica, ma rimanendo adeso ai personaggi e alle loro dinamiche (prima misteriose, via via più evidenti), Hitchcock racconta del giovane protagonista Charles (Michael Wilding), amico di infanzia di Henrietta, che tenta di ricondurla sulla strada delle buone creanze e del ruolo di donna di casa, per i quali è stata sostituita dall’acida governante. A Hitchcock non interessano le differenziazioni fra eroi e antagonisti: nonostante i toni classici(sti), Under Capricon stupisce proprio per il senso di smarrimento che scorre durante l’intera visione della pellicola: il protagonista Charles è di un’antipatia unica, tanto che non si riescono ad appoggiare davvero i tentativi di mal celato corteggiamento che porta avanti nei confronti di Henrietta, di cui a poco a poco si va scoprendo il marcio che cova nel suo passato (inversamente proporzionale all’eleganza del suo aspetto, che va migliorando, sempre come esempio di simpatiche evoluzioni ossimoriche). D’altro canto Joseph Cotten, nel ruolo di Sam Flusky, interpreta un personaggio misuratamente antipatico e apparentemente monocorde, che nasconde anche lui, più che vecchie menzogne, tristi sentimenti. Solo la governante si conferma sempre antipatica e fastidiosa, volendo è il personaggio che non cambia, e che se evolve, evolve in peggio.
Benché alcuni comportamenti sfiorino l’eroismo (il tema del sacrificio per amore viene più che ben scandagliato), tutte le azioni finiscono per rientrare in un contesto assolutamente umano e verosimile, tale che il disagio e le brutture del passato si rendono palpabili e immanenti nelle antipatie e nelle difficoltà dei personaggi dei Flusky. Fino alle rivelazioni finali che non risparmiano nessuno, e fanno rimbalzare lo spettatore dalla parte dell’uno e dell’altro personaggio fino a rendere ogni possibile schieramento preso una futile scappatoia. Tra i più dimenticati dei film di Hitchcock, ma anche tra i migliori senza dubbio, almeno tra quelli precedenti ai grandi capolavori come Vertigo, Rear Window o North by Northwest.
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