Regia di Edward Dmytryk vedi scheda film
Autoesiliatosi in Inghilterra perchè finito sulla lista maccartista e poi "reo-confesso" contro il partito comunista (al fine di ritornare a lavorare nella patria naturalizzata) l'ucraino Dmytryk girò un film, tratto da un libro di Irwin Shaw, che anticipò di 40 anni tematiche poi affrontate con più intensità dal "Soldato Ryan" di Spielberg o dal "Pianista" di Polanski. Secondo la critica, il vigore della sua denuncia si smorzò in seguito alla sua pur coercita delazione politica. Eppure questa pellicola si lascia guardare con piacere. Probabilmente la produzione sacrificò il tecnicolor in nome di un grande cast ed una grande messinscena in formato cinemascope: tuttavia, visto il successo di pubblico e di critica, il gioco valse la candela! 160 minuti che non pesano allo spettatore; lo spettacolo e la tensione (specie nel salvataggio di un soldato ferito nello stagno, da parte di Clift e Martin) non vengono mai meno; ma il processo narrativo più interessante consiste nel rappresentare i clichè più qualunquisti - l'ebreo tartassato da tutto e tutti, il nazista ligio al dovere, l'artista tutto vizi e lazzi, le femmine ammaliatrici quanto inaffidabili, la grettezza dell'esercito alleato - quando il vero fine dell'operazione è ribaltarli, com'è giusto che sia. Tuttavia Dmytryk non fu mai pienamente convinto d'aver epurato l'ambiguità che pervade la sua opera: forse non fu mai consapevole d'esser stato così bravo a dosare con sapienza tutta la complessità degli elementi presenti. Brando è una garanzia ma nemmeno Montgomery Clift si lasciò intimorire dal suo ruolo.
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