Regia di Kim Yong-gyun vedi scheda film
Nella Corea metropolitana di oggi, una donna con la mania delle scarpe si separa dal marito dopo averlo scoperto in flagrante adulterio. Di più: l’amante indossa le sue calzature preferite. Si trasferisce con la figlia in un appartamento, per poi scoprire che le sue amate scarpe rosse, trovate per caso in metrò, attirano l’attenzione della sua migliore amica e della bambina, e si portano addosso una catena di maledizione ferale che proviene da un delitto di molti anni prima. Horror dalla sceneggiatura oltremodo farraginosa e pure con pretese d’autore, testimoniate da flashback teatrali in costume con scene di balletto. Il fatto che si ispiri a Scarpette rosse di Hans Christian Andersen (come il capolavoro omonimo di Powell e Pressburger) sarebbe una circostanza surreale, se non fosse soprattutto comica. Girato con macchina a mano e poi riversato su pellicola in formato 2.35:1, per sceneggiatura e messa in scena il film strizza l’occhio a The Eye di Danny Pang e Oxide Pang Chun e Dark Water di Hideo Nakata. Senza raggiungere mai, però, il minimo sindacale della tensione e con uno spreco inutile di effetti truculenti (le famose gambe tagliate dall’avidità nella favola originale). A onor del vero, il film non è aiutato da un doppiaggio italiano modestissimo, che comunque non potrebbe supplire alla desolazione dei dialoghi. Come spendere tre milioni di dollari e fare un film che ci lascia (molto) annoiati e irritati.
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