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Passione

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Passione

di mm40
8 stelle

“Questa volta si chiamava Andreas Vinkelman”. L'angoscia che Bergman descrive minuziosamente e fa implodere nella disperata camminata avanti e indietro di Andreas nel finale, chiosata superbamente (in ambedue le accezioni più comuni del termine) con queste semplici sei parole, è sostanzialmente quella dell'uomo; poco importano i nomi e il regista/sceneggiatore ce lo dimostra già nella (in un certo senso) coraggiosa scelta di affidare lo stesso nome, Andreas, a due personaggi (in una trama in cui ve ne sono pochi di più), uno in scena, vivo e irrisolto; l’altro mai in scena, morto, ma richiamato spesso nei dialoghi, ed emblematico di una situazione di quiete mai più raggiungibile. Il protagonista, pur dotato di una caratterizzazione definita e coerente, è però un mero stereotipo, rappresenta – al pari dei tre comprimari principali sulla scena, d’altronde – l’impotenza della condizione umana e la desolazione che ne consegue. E come si può manifestare tale senso di inadeguatezza, di incompiutezza? Nel dolore (Anna), nella solitudine (Andreas), nell'indifferenza (Eva) e nell'apatia (Elis), in una scala di valori perfettamente rappresentati dai quattro personaggi centrali del film, quattro facce del dramma esistenziale e altrettanti stati d'animo che contraddistinguono l'uomo e lo accompagnano nel suo (contraddittorio, breve, vano) cammino avanti e indietro fra le brutalità della vita (didascalica in questo senso la presenza del serial killer degli animali). Ma non è finita qui: Bergman ci mostra anche una quinta fase del percorso, non obbligata, ma plausibile e talvolta addirittura auspicabile: quella della definitiva rassegnazione e pertanto del suicidio (Johan). Una morale così pessimista e per nulla consolante, associata al guizzo registico di Bergman (di Passione colpiscono innanzitutto le scene di animali feriti o uccisi, così come la fotografia sgranata e ben illuminata di Sven Nykvist), ci consegna qualcosa di strabiliante e straziantemente reale; forse anche per questo il regista decide di infilare in maniera brusca nella pellicola quattro in­serti, di pochi secondi ciascuno, in cui gli interpreti centrali (Von Sydow, Andersson, Ullmann, Josephson: poker d'assi) confessano i loro stati d’animo nei confronti dei rispettivi personaggi. Infine, non è del tutto insensato ricercare nel personaggio di Andreas dei motivi autobiografici da parte di Bergman, che nella vita reale passò effettivamente dalla Andersson alla Ullmann – beato lui – e, misantropo amante della vita ritirata su un’isola, ha più di un punto in comune con il carattere introverso, riflessivo, egocentrico della figura interpretata da Von Sydow. 8,5/10.

Sulla trama

Andreas vive solitario su un'isola svedese; conosce e ha una relazione con Anna, straziata dal ricordo dell'incidente stradale in cui ha perso marito e figlio. I vicini di casa sono una coppia cordiale, ma piuttosto distaccata. E qualcuno intanto nel paese continua a uccidere animali apparentemente senza ragione: cani, pecore, cavalli. Il rapporto fra Andreas e Anna non può durare.

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