Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
La vergogna è la guerra, qualunque guerra. Che è - citando/parafrasando una battuta illuminante del film - 'come vivere in un incubo. Ma l'incubo di qualcun altro', di una persona che, al termine di quella oscena, offensiva rappresentazione del Male insito nell'inconscio umano, rimarrà sopraffatto dalla vergogna. Bergman si fa scopertamente politico in questo apologo che centra il bersaglio (l'avidità e la totale mancanza di umanità dei governi, degli eserciti, dei potenti) facendo leva su un'intensità sempre crescente e su una trama dai risvolti notevolmente kafkiani, con finale apocalittico. La storia de La vergogna (sceneggiatura dello stesso regista) è inoltre una semplice metafora della parabola di Adamo (Jan) ed Eva (volutamente, non c'è dubbio in merito, il personaggio della Ullmann si chiama così): non è una coincidenza se la pellicola si apre con il suo unico nudo, quello dei seni (cioè maternità) dell'attrice, nel bel mezzo di una situazione perfettamente edenica (lui e lei, la natura, il silenzio, la pace) per chiudersi, dopo un travagliato viaggio imposto dall'alto - e non dalla divinità, in questo caso, ma dai governanti - verso un (letterale) mare di dolore, frustrazione e morte, un mondo più concreto e reale, più simile alla Terra che al paradiso. La vergogna è l'ennesima dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, dell'amalgama straordinario formato da Bergman e i suoi attori favoriti, l'ennesima conferma del talento superlativo di due interpreti come la già citata Ullmann e Max Von Sydow, che riescono a dare vita in maniera grandiosamente credibile a due personaggi in verità estremamente sottili, stilizzati in quanto rappresentanti di figure archetipiche (l'uomo e la donna, in sostanza). Forse il limite principale di questo film risiede proprio nella sua dimensione fiabesca, nel voler raggiungere una morale nella maniera più chiara, limpida possibile e nel trascurare le caratterizzazioni o la profondità dei dialoghi, che talvolta rasentano il didascalico: ma Bergman non è Pasolini e non ha pretese prettamente intellettuali per la sua opera, a lui preme piuttosto raccontare una storia e lasciarne in evidenza il messaggio. In un ruolo di contorno c'è anche un altro dei volti bergmaniani per eccellenza, cioè Gunnar Bjornstrand; Sven Nykvist fotografa con un bianco e nero verista le campagne svedesi, panorami del tutto simili a quelli che ormai facevano già parte integrante della vita del regista, trasferitosi da qualche anno sull'isola di Faro (e su un'isola è appunto ambientato La vergogna). Giunto al giro di boa del mezzo secolo di vita (classe 1918) e con ogni probabilità ispirato dal fermento culturale/politico in atto a livello mondiale, Bergman realizza un'opera che è la sua personale visione del '68; semplificando - forse troppo? - si può porre il coevo L'ora del lupo in parallelo con questo La vergogna: entrambi i film parlano della follia, ma il primo è incentrato sulla follia di un uomo, mentre il secondo su quella dell'uomo. 7,5/10.
Scoppia il conflitto fra due eserciti su un'isoletta svedese; qui una coppia di violinisti vive dei frutti della campagna, senza telefono, nè radio e ignora ciò che sta accadendo. Fino a quando ne viene travolta brutalmente.
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