Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Chi ci può essere di più mite, raffinato, acculturato di una coppia di violinisti di un'orchestra per musica classica? Lui, addirittura, la notte, si sogna di eseguire il quarto dei "Concerti Brandeburghesi" di Bach... Scoppiata la guerra, i due si sono trasferiti su un'isoletta a coltivare mirtilli, ma neanche questo li salverà dalla brutalità del conflitto. Presi ingiustamente prigionieri, interrogati, torturati, accusati di tradimento, presi dalla fame e dalla paura della morte, si abbrutiranno fino al punto che lei diventa l'amante di un potentazzo locale, mentre lui si trasformerà in ubriacone, ladro e assassino.
In pieno 1968 Bergman gira questo atto d'accusa contro la guerra sempre e comunque, senza né domandarsi né spiegare chi faccia guerra a chi, perché essa è sempre ingiusta, barbara e senza speranza. Neanche gli animi nobili riescono a passare indenni attraverso questa follia: se sopravvivono, non sono più gli stessi, dagradati, come sono, allo stato ferino. Ma "La vergogna" è anche un atto d'accusa nei confronti di coloro, specialmente intellettuali, rifiutino di prendere posizione (Eva, intervistata dai "ribelli", risponde di non avere idee politiche), perché sono le vittime più facili della ferocia bellica.
In questo film Bergman rinuncia a parecchi dei suoi dimboli e dei suoi silenzi, ma non disdegna riferimenti letterari "alti", come Kafka (quanto meno per l'episodio dell'interrogatorio) e Orwell (l'anziano rigattiere che poi si trasforma in capo partigiano non può non ricordare "1984").
Ottima, come sempre l'interpretazione degli interpreti, tutti tra i fedelissimi di Bergman: Liv Ullmann, Max von Sydow e Gunnar Björnstrand.
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