Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
E' un dramma familiare, genere in cui Bergman avrebbe avuto tutto il tempo di specializzarsi nella sua carriera a venire, però in uno stile pù vicino a quello di quegli anni che a quello intimistico del regista svedese. Il rapporto padre-figlio che è al centro del film è di estrema durezza e tensione, e non si fa fatica a vedervi adombrato quello di Bergman con suo padre. Il genitore della pellicola è un uomo autoritario più che autorevole, a tratti persino sadico nel tiranneggiare moglie e figlio. E' un uomo che ha un profondo disagio interiore, un senso di fallimento della sua vita, che poi sfoga sui familiari faceondoli soffrire non poco. In particolare opprime il figlio con i capricci della sua autorità, facendone un ragazzo frustrato nella sua individualità e personalità: la gobba che porta (la quale è più una schiena un po' ricurva) è una chiara metafora della sua sottomissione forzata e del suo essere schiacciato, che infatti scomparirà non appena troverà la forza di ribellarsi. La scena in cui il padre smette di pompare l'aria al figlio che è in immersione è di quelle che mette i brividi.
Ho trovato interessante anche il personaggio della ragazza. Facendo la prostituta, giunge ad un tale disprezzo di se stessa, che farà di tutto per scansare il ragazzo innamorato di lei. Non perché non lo ricambi, perché anzi anche lei è innamorata di lui. Però l'essersi data al "mestiere" fa sì che si senta indegna di lui, dell'amore, di uno che non la usi e non la sfrutti.
Bergman allora era ancora piuttosto ottimista, e in fondo al tunnel si intravvede la luce.
L'ambientazione - con una famiglia dedita al recupero di relitti di navi naufragate - è decisamente originale.
Il titolo italiano è piuttosto maldestro e insapore.
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