Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film
Il pellegrinaggio laico ma esteticamente spirituale di un ateo nel mondo della religiosità decaduta, marcita, dispersa tra quattro ciuffi di erba spelacchiata. La ricerca che gradatamente diventa ossessiva non tanto di Cristo in se stesso, quanto della sua figura, di una sua immagine, non come prova ma come volontà estrema di testimoniare il sublime religioso.
La conseguenza di questa tensione continua, che il genere del documentario mal dissimula (volutamente) nel suo freddo progredire commentato e dialogato, è una "delusione pratica" tanto più pungente quanto più rassegnata della tenebrosità di un piccolo frammento di mondo dimenticato e in balia di se stesso, osservato da un Pasolini in crisi immaginativa-visiva non in maniera esotica e distante, ma tanto più vicina quanto prodotta dal bisogno impellente di un set per il suo Vangelo secondo Matteo. La volontà esasperata di una scenografia adeguata, che non sia corrotta dalle nere trame della civilizzazione occidentale, è costretta a cedere a un bruciante fallimento, frutto però di un'incapacità da parte di Pasolini (e di questo lui è ancora più cosciente, e ne soffre) di trovare la semplicità e il carattere primordiale di un certo tipo di ambienti e di umanità che non siano né precristiani, parti di un paganesimo neanche sfiorato dal Cristianesimo, né fin troppo moderni, inquinati da macchine e pali telegrafici che svettanti come novelle croci si stagliano nella sofferenza di una coscienza artistica. Lo stesso Pasolini ammette infatti di aver subito una decisiva illuminazione nel constatare la volontà, da parte del Cristo, di scegliere come luogo di predicazione e di passione il luogo più umile e piccolo della Terra, in parte "frantumato" dalla civiltà, in parte "destrutturato" dalla miseria. L'affermazione di un'"assenza", quella dell'aere cristianeggiante nei luoghi veri e certificati, dove Cristo stesso pose i suoi passi, è per Pasolini l'occasione di osservare un mondo in cui le dimensioni temporali si affossano a vicenda e in cui l'aridità e l'immediatezza di ciò che si vede tiene fermamente saldi a constatazioni momentanee e dirette, incapaci di guardare a un passato di cui non sembra essere rimasta la minima traccia. Sorpreso, curioso, speculativo nei discorsi filosofici che esprimano quell'"imbarazzo" di toccare da vicino i luoghi sempre immaginati e sempre divinizzati/idealizzati non solo da lui laico ma anche da interi mondi (e intere arti) distanti e credenti, Pasolini crea un percorso per immagini in cui la formazione è impossibile, l'arricchimento avviene per sottrazione e l'incredibile contraddizione fra l'umiltà dei luoghi e l'epicità di ciò che hanno vissuto (ma di cui non si vede nulla) si impone agli occhi di lui e dello spettatore senza offrire alternative, in un flusso di impressioni e di pensieri (donatici dalla voce fuori campo) che colgono l'essenziale di un punto di vista e lo comunicano con un atto di estrema cura estetica. L'Israele e la Giordania messe in scena sono i luoghi del nuovo martirio dell'arte, crocifissa sui pilastri di una modernità imposta e favoleggiante sull'arcano dell'inconcepibile fede, e Pasolini che vaga fra deserti, grotte, città e concetti espliciti è il portatore stesso di quest'arte fallita che rivendica la sua autonomia, e che cerca di sondare l'insondabile, anche nel disordine irrazionale del proprio modo di pensare e nella propria istintuale voglia di primordiale. Il sublime è schiacciato dalla semplicità, e San Paolo dice: "ciò che è stolto per il mondo Iddio lo scelse per confondere i sapienti, e ciò che per il mondo è debole Iddio lo scelse per confondere quello che è forte, scelse ciò che per il mondo non ha nobiltà e valore, ciò che non esiste, per ridurre al nulla ciò che esiste". Il sapere dell'arte nulla può contro la profondità della religione: quasi con uno spirito inconsciamente herzoghiano, che cerca nei luoghi misteriosi la realtà documentaria dell'esistenza di ciò che non può concepirsi, Pasolini conclude il suo breve Sopralluoghi in Palestina con un brivido.
"Vicino ai luoghi del primo atto, la nascita della vita di Cristo, ecco il luogo dell'atto supremo: questa stupenda chiesetta romanica ricorda l'ascensione, il momento più sublime di tutta la storia evangelica, il momento in cui Cristo ci lascia soli a cercarlo". Soli, dolorosamente ci arrendiamo.
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