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Black Dahlia

Regia di Brian De Palma vedi scheda film

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La recensione su Black Dahlia

di 79DetectiveNoir
7 stelle

 

Ebbene, oggi recensiamo uno dei mystery thriller più sottovalutati di sempre, vale a dire Black Dahlia del maestro Brian De Palma.

Ora, chi scrive il seguente pezzo considera De Palma uno dei massimi registi viventi, un virtuoso, insuperabile cineasta maestoso, un geniale director avanguardistico nel suo dichiarato e mai velatamente celato essere perfino esageratamente citazionistico. Poiché s’ispira tuttora, dunque volutamente e assai marcatamente, ad Alfred Hitchcock e al suo stroboscopico e lisergico, visionariamente attingerne, rifacendosi anche alle cromature e alle prospettive inquadrature wellesiane, potremmo dire, da un punto di vista cinematografico, profondamente allegoriche e di natura baroque come se le sue pellicole fossero e rappresentassero, all’interno della sua poetica e della sua cinefila ottica, una stratificata e complessa, iper-sfaccettata architettura inventivamente “intelaiata” in molteplici intarsi ipnotici d’immagini variegate torbidamente tanto eccentriche quanto tremendamente aderenti alla sua magmatica e sua volta magnetica, contorta visione multiforme addirittura di sé stesso. In quanto originalmente capace di reinventarsi e rigenerare il suo Cinema perfino, per l’appunto, auto-citandosi a piene mani in modo svergognatamente concentrico, anzi orgogliosamente vanesio. Basti pensare al finale di Carlito’s Way ove De Palma cita la celeberrima scena della carrozzina sulle scale della metro, proveniente dal suo strepitoso Gli intoccabili, e al contempo, così facendo, ancora una volta ci riporta alla memoria il memorabile La corazzata Potemkin.

Ecco, detto ciò, arriviamo orsù a Black Dahlia. Film della durata di due ore. Naturalmente ispirato e tratto, seppure con molte libertà e licenze del tutto gratuite, forsanche superflue o ridondanti, questo va perlomeno ammesso, da parte dello sceneggiatore Josh Friedman (La guerra dei mondi, Reazione a catena, Terminator - Destino oscuro), al celebre, omonimo capolavoro letterario di James Ellroy, ovvero il grandioso, complottistico noir a forti tinte hard-boiled a sua volta incentrato sulla “vera storia” dell’inquietante, giammai risolto, aberrante, chilling come direbbero gli americani, cioè macabro e raggelante, omicidio della Dalia Nera.

Un’intricatissima e indistricabile storia labirintica di detection dai cupissimi contorni terrificanti e sanguinari. Messa in scena da De Palma col suo consueto, impeccabile stile vividamente fiammeggiante da Cinema espressionistico e allo stesso tempo neo-gotico, misto alle sfumature più dark e rabbrividenti, lucidamente memori forse dell’Infernale Quinlan. Una delle apoteotiche vette del succitato, impareggiabile Orson Welles.

Dunque, partendo da tali enunciati presupposti assai rinomati, Black Dahlia è unanimemente reputato un indiscutibile capolavoro? Macché, nient’affatto.

Black Dahlia doveva essere infatti uno dei titoli di punta della stagione 2006-2007. Tant’è che inaugurò il Festival di Venezia e fu atteso in maniera straordinariamente febbricitante dai fan di De Palma.

Alla fine dell’anteprima mondiale, purtroppo, fu ampiamente fischiato e deluse non poco, per l’appunto, innanzitutto coloro che si dichiararono depalmiani. Ché quasi tutti furono spiazzati da un film che, essendo stato così a lungo aspettato in modo febbrile, non poco interdisse e sconcertò pressoché chiunque. Lasciando a bocca aperta, in forma brutalmente negativa.

Disattese le aspettative tranne quelle del sottoscritto e di pochi altri suoi ammiratori che invece altissimamente lo considerano. A differenza, inoltre, della Critica mondiale e soprattutto del Dizionario dei film Morandini. Che liquidò il film, testualmente, in tali agghiaccianti, terribilmente superficiali righe, assegnandoli soltanto due stellette davvero misere:

1947. Blanchard e Bleichert, ex pugili amici e rivali non solo sul ring, sono poliziotti a Los Angeles, amano la stessa donna e hanno la stessa ossessione per il caso non risolto di una prostituta assassinata e fatta a pezzi, detta Dalia Nera. B. De Palma traspone in immagini – virate sul marroncino, per datarlo nel dopoguerra senza piegarsi al bianco e nero – lo straordinario romanzo (1987) di James Ellroy, ispirato a un fatto vero. Operazione sbagliata. Se dal punto di vista estetico e formale la Los Angeles degli anni ‘40 – ricostruita in Bulgaria da Dante Ferretti – è efficace, il racconto risulta da una parte lacunoso e confuso, dall’altra sovraccarico di informazioni e piste seguite e abbandonate senza motivazioni; la scelta degli attori è sbagliata, soprattutto nel reparto femminile, il che è grave, data la vicenda (si rimpiange l’intensità bella e dolorosa della Kim Basinger di L.A. Confidential); il finale è liquidato in fretta e male con qualche scambio di battute; le cadute nel ridicolo involontario disturbano; l’atmosfera, lo spirito e la crudezza del romanzo sono assenti.

Adesso, non ce ne vogliano gli affezionati morandiani del compianto Morando ma la recensione che avete appena letto, onestamente, è completamente mostruosa. Interamente erronea, anzi, decisamente ingrata, in una parola orrida. Più abominevolmente sconvolgente dell’assurda, irrazionale media recensoria ottenuta, ahinoi, da Black Dahlia su metacritic.com. Difatti, è allucinante annotare il fatto che su questo sito abbia ottenuto solamente un inguardabile, disdicevole, volgarmente sconsiderato e ripugnante 49% di opinioni e voti positivi.

Uno scandalo! Forse più scabroso e delittuoso del crimine narratoci nel film stesso da noi preso in questione.

I meriti di Black Dahlia invece, checché sbrigativamente se ne dica, sono davvero tanti.

De Palma nuovamente non desidera assolutamente svolgere un compitino di facile trasposizione a mo’ di copiatura, bensì riplasma la vicenda a metrica del suo squisito delirarvi attorno con armoniche riprese avvolgentemente portentose. Avvalendosi della fotografia del mago Vilmos Zgismond (Il cacciatore, Incontri ravvicinati del terzo tipo), confeziona un’opera mastodontica, sì, forse più irrisolta del caso della Dalia Nera, ma profondamente affascinante.

Trascinandoci nei dedalici meandri tenebrosi ed enigmatici d’una voraginosa trama ove aleggiano torbidi spettri nerissimi e, fra le cui viscere pulsanti di celluloide rilucente, echeggiano meravigliosamente fantasmatici i chiari rimandi al magnifico Vertigo.

Josh Hartnett ed Aaron Eckhart sono bravissimi, Scarlett Johansson dimostra qui di essere una brava attrice e Hilary Swank, famosa per la sua androginia da donna a prima vista asessuata, in tale pellicola riesce ad apparirci incredibilmente sexy e irresistibile.

 

 

di Stefano Falotico

 

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