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The New World

Regia di Terrence Malick vedi scheda film

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La recensione su The New World

di FilmTv Rivista
6 stelle

Quello che nella Sottile linea rossa era successione armoniosa di ellissi, annullamento dell’io soggettivo in funzione di un’umanità corale che si interroga sulla vita e sulla morte, poesia in forma di cinema, in The New World è diventato purtroppo maniera. Era il 1998 e il film (il terzo in 25 anni) di Terrence Malick si imponeva come spettacolare esperimento sulle qualità psichiche del cinema, raccontando la guerra attraverso il paesaggio e attraverso le “anime” dei personaggi. Oggi, nel 2005, al quarto film, Malick piega la propria forma astratta e spirituale alle esigenze di una storia: quella di Pocahontas, principessa di una tribù di Algonchini, che si innamora del capitano John Smith, un avventuriero sbarcato con le tre navi inglesi che nel 1607 (tredici anni prima dell’arrivo dei Padri Pellegrini sulla Mayflower) attraccarono in Virginia, lo salva dalla fame e dalla guerra dichiarata dal suo popolo e, abbandonata da lui, sposa un coltivatore di tabacco e viene ricevuta con tutti gli onori dai reali inglesi come principessa della Virginia. Una storia che va alle origini del Mito della nazione americana, al cuore del panteismo alla Thoreau, del sogno del Giardino perenne contrapposto alla civilizzazione. Da 25 anni Malick aveva in mente il suo canto al Nuovo Mondo, e sulla carta il progetto era perfetto per il suo stile solenne e incurante delle successioni logiche. Ma qualcosa è andato storto: le voci off diventano salmondianti, la poesia delle immagini è fin troppo “poetica” (e rischia un effetto Laguna blu), gli animi (di tutti, conquistatori e guerrieri) si ammorbidiscono, le occasioni si sprecano. In The New World sopravvivono alcune intuizioni che fanno rimpiangere il film che avrebbe potuto essere: i primi 15 minuti, quando tutto è ancora possibile e l’astrazione preme per impossessarsi della scena, gli orrori nel forte decimato da un’epidemia, dalla fame e dalla pazzia (ai quali Malick accenna ma sui quali, con troppa pietà, sorvola), l’impatto bizzarro di Pocahontas (ribattezzata Rebecca) con il vecchio mondo europeo, che introduce stravaganti accenni alla Greenaway e alla Kubrick. Ma forse è proprio questo il difetto di fondo del film: l’esperienza soggettiva di Pocahontas, che fu in realtà paladina della civilizzazione, va in direzione diametralmente opposta rispetto all’Eden rimpianto da Malick.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 3 del 2006

Autore: Emanuela Martini

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