Regia di Satyajit Ray vedi scheda film
FESTA DEL CINEMA DI ROMA 15 - RETROSPETTIVA SATYAJIT RAY
Nella seconda metà dell'800, il figlio di un ricco possidente bengalese, si reca a Calcutta per affari impellenti e lascia la bella e giovane moglie in custodia all'anziano genitore. Costui nel sonno viene a sognare che la nuora altri non è che la reincarnazione della venerata dea Kali, che infatti gli appare in sogno con le sembianze della moglie del figli
L'uomo è così convinto della serietà del suo sogno, da persuadere anche la diretta interessata del dono ricevuto con questa inaspettata reincarnazione, e, diffondendo la voce tra il vicinato, finisce che la giovane donna diviene un vero e proprio oggetto di culto e venerazione.
Al ritorno a casa, il figlio è costernato per questa contagiosa follia che sembra aver contagiato tutti, e minaccia di trasferirsi portando con sé la consorte. Quando però ad ammalarsi è il figlio della coppia, e la madre non può fare nulla per aiutarlo a guarire, ecco che tutte le speranze riposte in lei decadono miseramente, e pure la donna, costernata da una convinzione che ormai l'aveva persuasa completamente, finisce per ammalarsi e diventare folle.
Con La dea, Satyajit Ray indirizza la propria attenzione e dirige il proprio sguardo lucido e obiettivo su credenze popolari che sono parte integrante di un vivere sociale che si fonda su una speranza di riscatto che risulta vitale per un popolo quasi sempre ridotto in condizioni di mera sussistenza, e come tale bisognoso di affidarsi alla buona sorte di una presenza che sappia fornirgli quel conforto necessario per andare avanti.
Il gran regista si insinua nella tradizione, mettendone allo scoperto usi e consuetudini benevole, ma anche esercitando il diritto a nutrire dubbi su scelte e comportamenti di vita che molto spesso lasciano troppo spazio alla speranza fine a se stessa, affidandosi troppo poco al raziocinio di una organizzazione razionale del paese e della sua economia, salvaguardando diritti di uguaglianza e pari opportunità a quel tempo, ed ancora per molti decenni, pure chimere senza futuro.
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